Recensione del libro L’amore, scaricabile gratuitamente a questo indirizzo.
Recensione di Arianna D’Agata
Il discorso di Dhamma On love (“L’amore”) offerto da Ajahn Jayasaro esplora la complessità del concetto di amore con molta lucidità e profondità.
Il tema trattato riguarda uno dei principali centri di attaccamento per un laico.
Per chi vive fuori da un monastero il rapporto con le persone, in particolare quello con il partner e i figli, è continuamente sia fonte di gioia che di dolore e di delusione. Una persona che ha scelto di percorrere una via spirituale si interroga perciò continuamente sulle contraddizioni che si manifestano quando entra in gioco l’amore.
Ajahn Jayasaro ci guida con parole chiare nell’esame di che cosa si intenda per amore, di quali circostanze lo facciano nascere e lo nutrano e quali invece lo offuschino. Ogni volta viene messo in luce il punto focale delle difficoltà che si sperimentano nelle relazioni affettive.
Avendo scelto di aderire al buddhismo e di seguirne i precetti, la lettura di questo testo ci aiuta nella ricerca di coerenza tra la nostra vita spirituale e la quotidianità della vita laica.
Personalmente ho riconosciuto nella visione dell’amore espressa da Ajahn Jayasaro un pensiero con cui mi sento in accordo, cui però sono pervenuta dopo aver percorso nella mia vita un complesso ed articolato arco di esperienze, senza le quali non sono sicura che oggi riuscirei a cogliere pienamente il senso profondo di questo testo.
Probabilmente questo è un sentire di molti praticanti laici.
La via seguita da Ajahn Jayasaro come monaco del buddhismo theravāda contempla la rinuncia a quel tipo di amore da lui definito mondano. Per chi non ha fatto tale scelta estrema alcuni punti risultano un po’ difficili, si può avvertire contraddizione e non completa adesione.
Ajahn Jayasaro individua quattro tipi di amore; i primi tre sono mondani. Si può avere amore verso oggetti, verso ideali o credenze, verso persone. Il quarto tipo di amore è la gentilezza amorevole, mettā.
È chiaro che per la maggior parte delle persone l’interesse principale riguarda l’amore verso le persone. È di esso e della gentilezza amorevole che si occupa in particolare Ajahn Jayasaro.
L’accento viene posto sull’amore romantico, quello di cui si parla, si canta, si scrive, quello per cui si gioisce e si soffre. Esso ha una zona luminosa, una zona buia ed una grigia, ci dice Ajahn Jayasaro. Aggiunge che, essendo lui monaco da molti anni, corre il rischio di trattare in modo non completo gli aspetti positivi dell’amore romantico; i lettori potrebbero loro stessi integrare tali aspetti. Scherzosamente suggerirei che noi lettori laici potremmo avere la tentazione di integrare piuttosto l’elenco degli svantaggi, visto che una gran parte dei nostri discorsi è occupata da lamentele e recriminazioni circa la vita di coppia.
Tra gli aspetti positivi importanti dell’amore ci sono la copertura contro la paura della solitudine, il sentirci persone speciali per qualcuno e la soddisfazione dell’istinto sessuale.
Ajahn Jayasaro ci ricorda che secondo gli insegnamenti del Buddha sia gli amanti che il sentimento d’amore sono impermanenti e che, trattandosi di esseri non illuminati, saranno sempre presenti emozioni negative e contaminazioni.
Questi concetti vengono ripresi e ripetuti nel testo più volte e da vari punti di vista. Risalta dal discorso di Ajahn Jayasaro con grande chiarezza come si chieda all’amore romantico molto spesso qualcosa che non ci può dare, come l’amore non possa essere visto come alternativa ad un cammino spirituale.
Seguendo una strada spirituale siamo portati a guardare sempre più in profondità dentro noi stessi, a renderci conto dei nostri atteggiamenti sbagliati, come l’eccessiva ansia nei confronti dell’essere amato, scambiata spesso per grande segno di amore.
La consapevolezza che ci viene dal nostro percorso ci fa rendere conto che siamo portati o a scusare ogni difetto della persona amata o, all’opposto, a cercare, magari in buona fede, di cambiare completamente il suo modo di comportarsi. Abbiamo bisogno di ricercare una via mediana tra questi estremi.
Dopo aver esaminato molti aspetti del problema Ajahn Jayasaro ci parla di come sia attraverso il quarto tipo di amore, mettā, la gentilezza amorevole che possiamo porci in maniera corretta, che non ci esponga a delusioni, nei confronti dell’amore. Essendo mettā incondizionata, rivolta a tutti gli esseri viventi e guidata da saggezza ed equanimità, non causa sofferenza.
Come non essere d’accordo? Ci sembra però che un tale tipo di amore sia molto difficile da raggiungere, che richieda un impegno costante.
Ajahn Jayasaro, riprendendo gli insegnamenti del Buddha, ci dice che l’amore di una madre per i propri figli è quello che più di tutti si avvicina a mettā.
In questa affermazione c’è sicuramente una parte totalmente condivisibile, tuttavia anche nella maternità questa strada bisogna imparare a percorrerla. Una madre parte in qualche modo “avanti” nella relazione di metta nei confronti dei figli, ma vediamo continuamente quanto sia difficile spogliarsi da egoismi e proiezioni. “Mio figlio” è vissuto come un essere comunque speciale, è a questo essere particolare che dedico tutte le mie cure. Possiamo riflettere come questa sia l’astuzia della specie, in quanto il cucciolo ha bisogno di protezione: assicurargliela è difficile, vederlo come un essere speciale facilita il compito.
Mi soffermo su queste osservazioni in quanto spesso le madri, sopraffatte da una credenza che ritiene la purezza del loro amore come assolutamente naturale, si sentono inadeguate al compito.
Bisogna in tutti casi percorrere il cammino spirituale che ci porta ad amare, per quanto possibile, in modo giusto.
Accennavo prima ad alcuni punti più difficili da condividere pienamente per un laico.
Tra questi c’è la visione della sessualità esclusivamente come istinto da incanalare all’interno della relazione d’amore.
Una persona che vuol seguire gli insegnamenti del buddhismo condivide l’accento posto sulla fedeltà come precetto da seguire per evitare sofferenza. Tuttavia accade di sperimentare l’unione sessuale come qualcosa di più della semplice soddisfazione di un istinto, differente da ciò che il cibo è per la fame.
Certo una tale situazione non ha niente di universale, si riferisce alla relazione con un essere in particolare. D’altronde Ajahn Jayasaro stesso ci ha detto che per un buddhista laico la qualità di metta più difficile da sviluppare è l’universalità.
Queste osservazioni valgono solo come spiraglio sulla complessità del problema per chi non ha abbracciato la vita monastica, non tolgono nulla all’arricchimento spirituale che la lettura attenta di questo discorso di Dhamma può darci.