DOMANDA: Qual è la cosa che più ti ha colpito di Luang Por Chah? Puoi fornirci alcuni esempi tratti dall’esperienza vissuta con lui?
RISPOSTA: Be’, ce ne sono diversi. Una delle cose che più mi hanno colpito è il modo in cui Luang Por Chah era in grado di esercitare autorità senza risultare autoritario. Era un ottimo leader, ma senza aver bisogno di dominare gli altri. Non ho mai vissuto a lungo insieme con lui, ho avuto solo contatti sporadici. Probabilmente la prima volta in cui ho potuto scambiarci qualche parola è stato quando ero ancora un anagarika e lui stava trascorrendo alcuni giorni a Wat Pah Nanachat. Come anagarika ero l’attendente (upatthak) di Ajahn Pabhakaro, che era l’abate del monastero. Il mio compito era quello di preparare per lui ogni mattina l’abito e la ciotola per la pindabat (la questua). Per me era sempre stato difficile alzarmi presto la mattina, e lo è ancora. La mattina presto non è il momento più naturale per me. Ovviamente sono in grado di alzarmi presto con un atto di volontà, ma rappresenta comunque uno sforzo.
Un giorno, più o meno ad aprile o maggio del 1978, mentre Luang Por si trovava a soggiornare con noi, mi alzai e vidi della luce che filtrava dalle fessure tra le assi delle pareti. Pensai: “Wow, la luna stanotte è davvero luminosa!”. Guardai l’orologio e immaginai che doveva essersi fermato. Poi, però, capii: “Quella non è la luna; quello è il sole!”. Immediatamente saltai in piedi, mi buttai addosso le vesti e corsi lungo il sentiero. Quando raggiunsi il retro della sala vidi che tutti erano già partiti per la questua, tranne Ajahn Pabhakaro e Luang Por che, dovendo fare un percorso più breve degli altri, non si erano ancora allontanati. Perciò mi dissi: “Ok, ho ancora tempo. Magari non se ne sono accorti”. Quindi iniziai a darmi da fare, vedendo che mancavano ancora cinque minuti alla loro partenza. Raccolsi i loro mantelli, sperando che non si fossero accorti del mio ritardo e del fatto che avevo saltato i canti e la meditazione del mattino. Mentre mi trovavo ai piedi di Ajahn Chah, allacciando il fondo del suo abito, egli mi disse qualcosa in lingua thai che io non compresi. Sollevai perciò lo sguardo verso Ajahn Pabhakaro, con una leggera ansia, attendendo la traduzione. Ajahn Chah aveva un grande sorriso sul volto, un sorriso amorevole ed estremamente cordiale. Allora Ajahn Pabhakaro mi tradusse: “Il dormire è una delizia”. Fu la prima volta in vita mia in cui, pur avendo fatto qualcosa di sbagliato, invece di ricevere delle critiche o una punizione, ebbi in cambio un atteggiamento incredibilmente amorevole. Fu in quel momento che compresi profondamente che il buddhismo era qualcosa di davvero differente.
Egli era anche estremamente flessibile. Non aveva rispetto per il tempo. E non nutriva rispetto per la coerenza logica. Poteva cambiare l’atteggiamento mentale o modificare approccio come lo schioccare delle dita. Un paio di anni più tardi, mentre Ajahn Sumedho stava dando vita al monastero di Chithurst, pensai di tornare in Inghilterra per far visita alla mia famiglia. Avevo appena ricevuto un telegramma in cui mi si diceva che mio padre stava male ed aveva subito un infarto. Mi precipitai così da Roi-Et a Wat Pa Pong per rendere omaggio e chiedere consiglio a Luang Por. Sentivo di dover andare in Inghilterra, ma non sapevo come gestire questa cosa. La mia conoscenza della lingua thai era davvero scarsa, ma in quell’occasione c’era Ajahn Jagaro a fare da traduttore. Andai quindi da Luang Por e gli spiegai che, come monaco, fino ad allora avevo fatto un solo Ritiro delle Piogge, che venivo dall’Inghilterra e che la mia famiglia viveva piuttosto vicino a Chithurst, che mio padre era molto ammalato ed aveva appena subìto un infarto; gli chiesi che cosa riteneva che dovessi fare. Mi fece un lungo discorso, di quasi venti minuti, di cui pero’ non capii molto. Alla fine Ajahn Jagaro mi disse: “Dunque, ha detto quattro cose. Torna in Inghilterra e quando avrai terminato la visita alla tua famiglia vai a rendere omaggio ad Ajahn Sumedho e quindi rientra subito in Thailandia. La seconda cosa che ha detto è: torna in Inghilterra, vai a stare con la tua famiglia e, quando avrai terminato ciò che hai da fare con la tua famiglia, vai a stare con Ajahn Sumedho per un anno e dopo quell’anno torna in Thailandia. La terza cosa che ha detto è: torna in Inghilterra, stai con la tua famiglia e, quando avrai terminato ciò che hai da fare con la tua famiglia, vai a stare con Ajahn Sumedho ed aiutalo; se ciò diventasse troppo difficile, potrai tornare in Thailandia quando lo desideri. E la quarta cosa che ha detto è: torna in Inghilterra e, quando avrai terminato ciò che hai da fare con la tua famiglia, vai a stare con Ajahn Sumedho e non tornare più”. L’intero discorso era stato fatto senza cambiare intonazione. Come se nessuna della alternative fosse preferibile alle altre. Nel parlarne, ciascuna delle alternative proposte sembrava un consiglio perfetto, una proposizione direttiva: “Fai così. Queste sono le tue istruzioni. Seguile alla lettera!”. E non si comportava così per fare il furbo! Era evidente che stava tenendo un atteggiamento assolutamente lineare. E questa sua caratteristica in seguito è emersa anche in molte altre situazioni.
Collegata a tutto ciò vi era la qualità di essere una persona trasparente. Una volta qualcuno mi chiese di fargli avere il messaggio che alcune persone erano appena arrivate nella sala e chiedevano se lui poteva andare da loro. Perciò mi recai presso la sua kuti e lo trovai seduto sulla sua panca di ratan, sotto la kuti. Stava semplicemente seduto li, con gli occhi chiusi, ed intorno non c’era nessuno. Mi avvicinai e mi inginocchiai di fronte a lui, ma lui non aprì gli occhi. Perciò pensai: “Mmm, mi chiedo cosa dovrei fare”. Aspettai alcuni minuti ed egli ancora non aprì gli occhi. Poiché un importante Ajahn lo stava aspettando, gli dissi (in lingua thai): “Mi scusi”. A quel punto aprì gli occhi, ma fu come se non fosse presente. Non era come se stesse dormendo: gli occhi erano aperti, ma non vi era alcuna espressione sul suo volto. Era completamente privo di espressione. Mi guardò, ed io guardai lui e dissi: “Luang Por, Ajahn Chu mi ha chiesto di portarti il messaggio che ci sono alcune persone nella sala e se è possibile per te andare a riceverle”.
Ancora una volta, per un momento non manifestò alcuna reazione, solo quella espressione di totale spaziosità, di vuoto. Poi, all’improvviso e come dal nulla, apparve la sua personalità. Fece quindi un commento che non colsi pienamente. Fu come se di colpo fosse apparsa la “persona”: fu come assistere alla creazione di un essere. Vi era un valore straordinario insito in quel momento: vedere un essere che sta indossando una maschera o un travestimento, come se dicesse “Ok, sarò Ajahn Chah. Posso recitare la parte di Ajahn Chah per queste persone”. Mi fu così possibile assistere a quel modo di assumere una personalità: un corpo e tutte le caratteristiche proprie di quella personalità indossate come se stesse infilando un abito o assumendo un ruolo, al solo scopo di incontrare qualcuno e relazionarsi con altri. Fu una sensazione estremamente potente quella che provai nell’assistere a quel “qualcosa” che emergeva dal niente. Come vedere un essere che si materializza dinanzi ai tuoi occhi.
DOMANDA: Lo hai mai visto utilizzare poteri psichici o paranormali?
RISPOSTA: L’ho visto togliersi la dentiera (risata). Provocò un effetto davvero straordinario!
Non si tratta proprio di poteri psichici, ma ci sono alcune cose che mi hanno davvero colpito. Alcuni anni fa stavo facendo un ritiro solitario di tre mesi nella foresta di Cittaviveka, il monastero di Chithurst. Nel corso dell’ultimo mese del ritiro diverse persone vicine al monastero si erano ammalate: due dei sostenitori laici, uno dei monaci residenti e lo stesso Luang Por Chah. Ciò accadeva nel 1988. In quel periodo io ero solito fare canti, per circa un’ora al giorno, per queste quattro persone in particolare. La mia mente non riesce a visualizzare le cose con molta facilità. In genere non riesco affatto ad evocare facilmente immagini nella mia mente ma, al contrario, ci riuscivo ogni volta che pensavo a queste persone: prima i due laici, poi il monaco ed infine Luang Por. Ogni volta che portavo alla mente i due laici, ottenevo una immagine molto chiara e distinta. Quando poi facevo sorgere l’immagine del mio amico monaco così da dedicargli puñña (merito), questa era ancora vivida ma leggermente meno nitida. Quando invece pensavo a Luang Por – così da condividere puñña e da mandargli mettā (amorevolezza) – non riuscivo ad ottenere alcuna immagine. La mia mente non riusciva a visualizzarlo come una persona. Ogni volta che pensavo a Luang Por, la mia mente diveniva estremamente luminosa ma non si creava l’immagine di un volto: solamente uno spazio immenso ed una grande luminosità. Ho fatto questa pratica ogni giorno – per tre settimane o un mese – ed ogni volta capitava la stessa cosa.
Da giovane mi sono dedicato molto alla recitazione teatrale ed uno degli ultimi ruoli in cui ho recitato è stato quello di Gesù. Fu in un radiodramma intitolato “L’uomo nato per essere Re”. Nell’opera vi è un passaggio in cui Gesù, con la croce in spalla, si sta recando al Calvario per essere giustiziato e tutti i suoi discepoli piangono nel vederlo frustare mentre trascina quell’enorme peso sulla schiena. Questo passaggio è riportato nella Bibbia ma, avendolo io dovuto recitare, era ben presente anche nella mia memoria. Gesù, parla, si rivolge alle donne e dice: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me ma piangete su voi stesse”. Allo stesso modo il volto di Luang Por continuava a sorgere nella mia mente mentre diceva “Vedi; Ok, questo corpo è ammalato. È bene pensare a questo, ma non piangere per me. Sei tu quello che è in difficoltà. Non piangere per me ma piangi per te stesso”. Tutto questo continuava a venirmi in mente come un insegnamento.
Quest’altra storia, invece, me l’hanno raccontata, non l’ho vissuta personalmente. L’anno dopo che Luang Por Chah aveva subito l’ictus che lo aveva paralizzato, Luang Por Sumedho e Ajahn Anando andarono a fargli visita. In quel periodo Anando era dedito al guarire attraverso la fede, imponendo le mani o cose simili. I monaci, d’altra parte, erano soliti organizzare dei turni nelle 24 ore per accudire Luang Por durante la sua malattia, condividendo il compito del prendersi cura di lui. Perciò, trovandosi lì, Anando chiese il permesso di dare una mano con le cure e si fece carico del turno da mezzanotte alle tre del mattino. Durante queste prime ore della mattina, lui si trovava nella stanza di Luang Por mentre l’altro monaco che era con lui stava riposando e, immagino, Luang Por era sdraiato a letto. In quel periodo Luang Por era completamente paralizzato. Magari era in grado di fare qualche movimento con la mano, ma non era più nella possibilità di muovere il proprio corpo già da alcuni anni.
Nel corso della notte, Anando pensò che avrebbe potuto applicare i poteri di guarigione della fede a Luang Por. Forse così avrebbe potuto aiutarlo. Si sedette accanto al letto, appoggiò le mani sul petto di Luang Por ed iniziò a concentrare la sua mente, raccogliendo energia guaritrice e trasferendola a Luang Por attraverso le mani. Mentre lui era lì, Luang Por si alzò seduto sul letto – e ciò accadde dopo che per mesi o addirittura anni non si era mosso – guardò Anando negli occhi, lo fissò a lungo, poi chiuse gli occhi e si sdraiò nuovamente. Come a dire: “Ti ringrazio molto ma questo non è necessario. Non piangere per me. Non sono io ad aver bisogno di essere guarito: prendetevi cura di voi stessi”. Ora non so se questo si può chiamare utilizzare poteri psichici o no.
Infine, l’ho sognato nel dicembre del 1998. Non lo definirei un ricorso a poteri psichici quanto un’altra modalità di insegnamento. Stavo editando un racconto per bambini, una storia buddhista intitolata “Il Pellegrino Kamanita”. Ci avevo lavorato come un matto per circa quattro anni, curandone il testo e collezionando un’ampia raccolta di note e riferimenti. Avevo deciso di terminare il lavoro prima dell’inizio del ritiro invernale. Quel mese di dicembre avevo trascorso diverse nottate a lavorarci. Finalmente, verso la fine dell’anno, avevo finito.
Quella notte ebbi un sogno. Io ed un paio di altri monaci stavamo andando verso un edificio e lì abbiamo visto Luang Por Chah che stava in piedi all’ingresso; io avevo sotto braccio il mio manoscritto, quel libro. A quel punto (non mi è ben chiaro il perché) io mi sono chinato in avanti e Luang Por ha preso il libro dalle mie mani per sfogliarlo. Sul suo viso c’era un’espressione come a dire: “Questo è senza dubbio qualcosa per cui tu nutri un grande interesse e di cui sei entusiasta”. Aveva un atteggiamento critico: evidentemente la reputava una cosa piuttosto frivola e senza grandi conseguenze. E mentre lo osservava con quella espressione mezza divertita e non molto interessata, il libro si trasformò in un peluche, tipo un orsacchiotto o un morbido coniglio. Ma nonostante lo stesse in quel modo mostrando come qualcosa di scarso valore, lo maneggiava comunque con grande gentilezza e rispetto. Posò il peluche su un divano, lo accarezzò e lo sistemò con cura. Anche se era una piccola cosa pelosa di scarso valore, aveva pur sempre diritto ad avere un suo posto e ad essere trattata con rispetto.
Traduzione di Lapo Cavina