DOMANDA: Qual è stata la cosa che più ti ha impressionato di Luang Por Chah? Puoi farci esempi dalla tua esperienza?
RISPOSTA: Arrivai a Wat Pah Pong nel dicembre del 1978. Era il giorno di uposatha (osservanza). Ero già un anagarika, ma non avevo la tesa rasata. Avevo viaggiato. Uno dei monaci occidentali, Tan Pamutto, mi portò alla sua kuti e mi rasò; poi andammo a porgere i nostri rispetti a Luang Por. Nel preciso istante in cui lo vidi, ebbi una sensazione molto forte che sarebbe stato il mio insegnante e che non avevo bisogno di andare da nessun’altra parte.
Prima di lasciare l’Inghilterra, Ajahn Sumedho mi aveva dato un piccolo consiglio, dicendomi: “Non cercare il monastero perfetto, non esiste”. Nonostante queste parole, fui portato un po’ fuori strada e andai da un altro insegnante, per qualche giorno. Ma poi ritornai a Wat Pah Pong e pensai che potevo smettere di cercare.
Sentivo che Luang Por era diverso da ogni persona che avevo incontrato prima. Sentivo che era l’unica persona totalmente normale che avessi mai conosciuto e che ogni altra persona era un po’ anormale in confronto a lui. Mi sentivo come se avessi passato la mia intera vita ad ascoltare gente che cantava un po’ fuori tono e che questa era la prima volta che ascoltavo qualcuno cantare a tono. O come se fossi cresciuto in un paese che aveva solo fiori di plastica e poi un giorno finalmente avessi visto un fiore vero: “Ah, così questo è un fiore vero. Ho visto solo fiori di plastica prima d’ora”. I fiori di plastica possono essere bellissimi, ma niente in confronto ai fiori veri!
DOMANDA: Ajahn Chah non parlava l’inglese e tu, quando sei arrivato, non parlavi il thai; come hai potuto imparare da lui?
RISPOSTA: L’insegnamento che riceviamo nel desana (un discorso di Dhamma) o in altri insegnamenti verbali è solo una parte di quello che ci dà un insegnante. Sin dal primo giorno quello che ricevetti da Ajahn Chah, e quello che mi ha impressionato di più, fu questa forte sicurezza che egli era un essere illuminato e che perciò l’illuminazione è reale e possibile. Ne ero convinto già prima – per i libri che avevo letto e, fino a un certo punto, anche grazie ad altri insegnanti – ma è stato solo quando ho incontrato Ajahn Chah che questa certezza si è veramente radicata nel mio essere: la fiducia che il sentiero che porta al Nibbana può effettivamente essere seguito e che è possibile realizzare tutti i frutti della vita santa. Così fui impressionato da chi era Ajahn Chah, dal suo modo di essere, così come dal suo insegnamento. Naturalmente ero molto ispirato dai suoi insegnamenti, e ce ne sono tanti di cui ho fatto tesoro e che uso costantemente nella mia pratica.
Quando diventi un monaco passi periodi di grande positività, ma puoi anche passare periodi in cui ti senti scoraggiato e infelice. Io penso che se guardi da vicino cos’è che ti sostiene quando ti senti giù, non sono tanto i saggi insegnamenti e le riflessioni, quanto la fede che quello che stai facendo è veramente importante, che il sentiero della pratica porta veramente al Nibbana. Non ho mai avuto dubbi se lasciare l’abito da quando sono diventato monaco. Monaci che hanno compreso o studiato più di me si sono smonacati. Questo infatti non li ha aiutati. Ma poiché io invece avevo la presenza di Ajahn Chah, e poi il suo ricordo, mi sembrava che non ci fosse alcuna alternativa, che non ci sia niente altro che abbia senso all’infuori di essere un monaco e di seguire questo sentiero.
Amavo anche il suo modo di essere e come si esprimeva, la sua voce. Se avessimo dato ad Ajahn Chah da leggere un quotidiano oppure alcuni nomi dall’elenco telefonico, avrei potuto lo stesso ascoltarlo parlare per ore, tanto per la sua voce e per quello che egli era, quanto per le parole che poteva dire.
DOMANDA: Quanto sei stato con lui?
RISPOSTA: Arrivai nel tardo 1978 e non posso dire di aver passato molto tempo con lui. Agli inizi degli anni ’80 si ammalò seriamente. Dopo il mio primo pansa (Ritiro delle Piogge), che trascorsi a Wat Nah Pho, volevo veramente diventare un suo upatthak (attendente), e questa fu una delle ragioni per cui imparai il thai: pensai che potesse darmi una possibilità in più. C’era un sistema di rotazione: lui stava per andare a Wat Pah Gud Wai ed io fui scelto come uno dei suoi upatthak per andare con lui. Quello fu un periodo che ricordo con molto piacere. Poiché non era un monastero grande come Wat Pah Pong ed era più facile avvicinarsi ad Ajahn Chah. A Wat Pah Pong c’erano così tanti monaci! E c’era anche così tanta competizione per essere vicini ad Ajahn Chah che talvolta, nel notarlo, mi veniva solo voglia di ritirarmi. Non volevo combattere contro nessuno per essere upatthak o checchessia. In queste cose ero timido.
Poi lui tornò a Wat Pah Pong e mi disse di restare a prendermi cura dell’abate di Wat Pah Gud Wai. Così rimasi, ma durante i giorni di uposatha andavo a Wat Pah Pong, a circa 7 o 8 km. Dopo il pasto mi recavo alla kuti di Ajahn Chah. Qualche volta lui si ritirava per riposare ed io gli massaggiavo i piedi e gli raccontavo quello che stavo facendo. Dopo il Patimokkha (recita della disciplina monastica) tornavo a Wat Pah Gud Wai.
Ajahn Chah era molto famoso, aveva molti, molti discepoli, sia monaci che laici. Non era così facile avere un po’ di tempo tranquillo con lui ma questo, per qualche ragione, non mi ha dato grandi problemi, perché lui ci diceva comunque cosa fare ed era molto chiaro. Ero felice già per il fatto di sapere che fosse là e che se avessi voluto parlargli avrei potuto farlo. Ma in realtà non ne ho avuto bisogno molto spesso.
DOMANDA: Hai qualche esperienza di suoi poteri psichici?
RISPOSTA: Credo che avesse molti poteri psichici ma penso che sia importante dire che la sua politica non era di ostentarli o di parlarne in pubblico. Così, se uno dei suoi discepoli aveva dei poteri ne poteva parlare con lui in privato. Ma se dei monaci non avevano samadhi o poteri psichici, e gli chiedevano di questo, lui era molto diretto: “Non ti riguarda”. Se gli domandavi cose che erano al di là del tuo livello, spesso non rispondeva, oppure diceva: “È solo una perdita di tempo”. Poteva essere molto severo in tutto ciò.
Ci furono molte occasioni, specialmente nei primi anni, in cui egli mostrò questi poteri psichici. A volte potrebbero essere attributi semplicemente alla fede dei discepoli, che li immaginavano per effetto del loro attaccamento (upadana). Ma non penso che tutto possa essere visto in questo modo: in determinate occasioni erano fatti chiaramente reali. Comunque, per me non è una cosa così importante, non così tanto quanto la sua saggezza, gentilezza amorevole e purezza, ed il fatto che egli non mostrò mai alcuna deviazione nel suo comportamento.
Traduzione di Licia Roverotto