Domanda: Sulla base della tua esperienza diretta, cosa ti ha maggiormente colpito della persona di Luang Por Chah?
Risposta: Be’, dipende dal lato da cui osservo. Non c’è realmente qualcosa di particolare che possa dire essere più importante, ma ci sono molte cose che mi hanno colpito. Certo, Luang Por Chah rappresentava per tutti noi un esempio, nel senso che quando insegnava non insegnava una teoria ma attraverso lui stesso ci mostrava ciò che era utile e bello. Le impressioni che mi vengono in mente sono di Luang Por come un grande maestro circondato da un grande rispetto. Mi ricordo però anche di un monaco anziano che venne a far visita a Wat Pah Pong e di come Luang Por fosse estremamente sollecito nei suoi confronti, della cura e del rispetto che gli mostrò. Davvero mi impressionò vederlo mettere in atto gli insegnamenti senza atteggiarsi a “Maestro”. Fu una lezione molto diretta sul non-sé . Ci fornì un modello vivente dell’agio e della libertà che vengono dal praticare il non-sé, che non è né una teoria né una filosofia buddhista. Questo fu solo uno dei tanti episodi, perché aveva una notevole capacità di insegnare e di attirare la gente al Dhamma utilizzando le situazioni della vita comune.
Un altro esempio? Una volta eravamo di ritorno da un pindabat (questua del cibo). Io camminavo dietro di lui, seguendolo da vicino in modo rispettoso. Venivamo dal retro del monastero e andavamo verso il sentiero centrale nella foresta, quando due lucertole caddero da un albero. Luang Por le guardò, poi si voltò e disse: “Guarda quelle lucertole, erano intente all’accoppiamento. Se non fossero state catturate dalla sensualità non sarebbero cadute e non si sarebbero fatte così male!”. Molto semplice, e considerato che a quel tempo ero un novello monaco fu un insegnamento molto simpatico e diretto.
Luang Por Chah insegnava facendo riferimento a situazioni reali, comuni, che andavano subito al punto. L’abilità di Luang Por di fare esempi e scegliere le cose significative intorno a noi potenziava le nostre capacità di vedere il Dhamma da soli, invece che cercare nelle Scritture o rivolgerci sempre a lui, capendo così che il Dhamma è davvero tutto intorno a noi ed è qualcosa che ciascuno può riconoscere. L’esperienza diventava molto potente, diretta e ricca di umanità.
Penso che la sua umanità sia stata davvero sorprendente. Una volta Luang Por Chah ebbe alcuni problemi alla pelle. Io lo accudivo e mi piaceva andare ad aiutarlo. Tutto intorno alle sue natiche, schiena e gambe c’era una infiammazione e quindi, volendo applicare la medicina, avrei dovuto togliergli il sabong (sottoveste). Lui mi chiese: “Guarda il mio sedere, ti sembra bello?”, “No, non è bello” risposi. “Nessuno lo vorrebbe in questo modo! Ma quando si invecchia, diventano tutti così”. Ancora una volta, prese spunto dall’ordinario per tramutarlo in qualcosa che ci permettesse di “arrenderci”, di lasciare andare.
C’era anche la sua straordinaria generosità, la disponibilità a donare se stesso, ad offrirsi. E c’era la sua compassione, che è sempre stata molto toccante. Non ha mai davvero messo se stesso al primo posto. Ci fu un anno in cui vissi a Wat Pah Pong come suo upatthak (attendente personale). Ormai ero monaco già da molto tempo e il mio thailandese era buono, così potevo veramente capire quello che stava facendo e quel che insegnava. Passavo un bel po’ di tempo con lui, stavamo insieme fino a notte e, prima che andasse a dormire, lo massaggiavo. Era molto inusuale per lui andare a letto prima di mezzanotte, e qualche volta stava sveglio fino all’una o alle due. Eppure era sempre disposto a spendersi per le persone che erano interessate al Dhamma, a dare, ad insegnare, ad educare, e non cercava mai di tenere qualcosa per sé. Viveva un completo lasciare andare, una completa rinuncia. Tutto questo era molto potente.
Ma era molto difficile essere il suo upatthak! È stato davvero un duro lavoro perché non ha mai avuto un programma per la giornata, rispondeva soltanto in modo appropriato alle varie situazioni. La sua flessibilità veniva dalla generosità e dalla compassione, non da una aspettativa mentale di come le cose sarebbero dovute andare. Questo colpiva sempre moltissimo.
Ci sono quindi molti aspetti diversi di Luang Por Chah, è difficile metterne in luce uno solo. Se mi faceste queste domande nuovamente domani, alla mia mente si presenterebbero altri aspetti.
Domanda: Quando hai conosciuto Luang Por Chah ? Qual è stata la tua prima esperienza con lui?
Risposta: La mia prima esperienza con Luang Por Chah è stata nel 1974, poco dopo essere stato ordinato monaco. Ciò che faceva di lui un grande maestro era il suo interesse a formare le persone. Difatti una cosa è fare formazione e un’altra cosa è insegnare, ed avere le qualità per fare entrambe le cose è abbastanza raro. Alcune persone possono essere buoni formatori ma non sono grandi maestri, o viceversa. Luang Por aveva entrambe le capacità.
Nel nostro primo incontro, dopo che gli avevo mostrato rispetto inchinandomi, subito mi disse: “Se vuoi restare con me, devi restare almeno per cinque anni”. Immediatamente mi dette un comando, ed era raro che lo facesse.
Quando arrivai a Wat Pah Pong ero molto interessato alla meditazione e in genere sono sempre stato una persona mattiniera. Ma a Wat Pah Pong ci sono al mattino dei lunghi canti che non mi piacevano proprio. Infatti preferivo saltarli. Mi svegliavo e iniziavo a meditare nella mia kuti (capanna) pensando che fossero una perdita di tempo, tanto più che neppure capivo quello che stavano cantando. Inoltre Luang Por in quei giorni sarebbe andato solo occasionalmente alle puja: come monaco anziano lo avevano invitato a non sentirsi obbligato a seguire tutte le cerimonie del mattino e della sera. Ma avrebbe potuto decidere quando andare di volta in volta. Così per tutto il tempo che ero stato lì non ero andato alla puja del mattino, quando, presentandosi una mattina alla cerimonia, Luang Por chiese: “Dov’è quel nuovo monaco, Pasanno? Dove si trova?”. “Non è venuto”. “Era qui ieri?”. “No!”. “Non è venuto? Allora è pigro!”. Ovviamente queste parole arrivarono alle mie orecchie molto velocemente! Egli aveva dichiarato pubblicamente la mia pigrizia e io dovevo accettarlo. Dopo questo episodio andai alla puja del mattino molto regolarmente! Lasciai andare la mia ditthi (visione delle cose).
Quando penso a Luang Por, sento che era una persona che davvero incarnava il Dhamma-Vinaya. Le decisioni riguardo a cosa fare o non fare, su che cosa sarebbe stato opportuno o meno, non avevano nulla a che vedere con le sue opinioni o preferenze. Si percepiva che in tutto ciò che stava dicendo o facendo, prendeva in considerazione sempre il Dhamma-Vinaya piuttosto che qualcosa di personale.
Traduzione di Laura Valenti