Tratto da: Riti e cerimonie buddhisti (Rituals and Observances) basato su discorsi tenuti a Cittaviveka da Ajahn Sucitto e Ajahn Candasiri.
Nella nostra società sta diventando sempre meno comune manifestare rispetto e riverenza. Una delle ragioni potrebbe essere la difficoltà che alcuni trovano nel distinguere tra un’espressione di rispetto e un’adulazione personale o il timore che qualcosa o qualcuno suscita. Alcuni pensano che chi si inchina di fronte ad un’immagine o a un’altra persona non abbia auto-stima e si voglia umiliare.
Ma nell’esprimere rispetto verso qualcuno, mostriamo rispetto anche verso noi stessi, per cui l’uso del linguaggio corporeo è un modo per riconoscere e rappresentare il senso del sacro per mezzo dei movimenti fisici e della postura del corpo. Per esempio, la testa, la parte più alta della nostra forma materiale, simboleggia l’intelletto, mentre la zona del cuore è considerata il luogo di devozione, di calore e di fiducia. Le mani esprimono l’offerta e il dare, le suppliche, i sentimenti e le intenzioni, mentre i piedi, sia in modo letterale che simbolicamente, esprimono il contatto con il terreno della ‘realtà’.
La tradizione vuole che non si puntino i piedi nella direzione dell’altare o di altre persone; vanno tenuti ripiegati sotto di sé. La parte superiore del corpo – mani, testa e torace – sono usati per mostrare rispetto inchinandosi, abbassando la testa e facendo l’anjali.
Fare l’anjali
Nel fare questo gesto di rispetto, le mani tenute aperte palmo contro palmo, sono portate all’altezza del petto, poi alzate verso la fronte mentre la testa si inclina in avanti. È come se uno facesse il gesto simbolico di portare le mani alla testa – la parte più alta del corpo, sede della facoltà di saggezza.
Similmente, durante la recitazione cantata, le mani sono tenute nella stessa maniera, e portate all’altezza del cuore, per esprimere o indicare con le mani, il centro del cuore, o i sentimenti.
Oltre che in queste situazioni, l’anjali è un modo per presentarsi nello spazio cosciente di qualcun altro. Spesso i membri del Sangha fanno il gesto dell’anjali per richiamare l’attenzione o per parlare con l’altro; è un modo per indicare l’intenzione o il desiderio di parlare. È come dire “Scusa” o “Posso?”.
È anche un modo di salutarsi, e sostituisce il darsi la mano. Quindi è un gesto di saluto, un gesto di commiato, una richiesta di poter parlare. Si usa generalmente tra i membri del sangha come gesto preliminare prima di rivolgersi o offrire aiuto a un altro, come per esempio prendere la sua ciotola, una valigia pesante o comunque offrire la propria collaborazione in altro modo.
Inchinarsi
Un altro modo di esprimere rispetto è inchinarsi. Nella tradizione buddhista ci sono molti modi di inchinarsi.
I tibetani fanno una prostrazione stendendo tutto il corpo. I giapponesi si inchinano dalla vita in su. In Thailandia e nell’Asia sud-orientale la gente si inchina stando inginocchiata e in Sri Lanka si accovacciano e abbassano la testa.
Nella nostra tradizione usiamo il modo di inchinarsi thailandese, cioè la prostrazione dei “cinque punti”, così chiamata perché cinque punti del corpo toccano simultaneamente terra.
In questa prostrazione, prima ci si inginocchia, le mani tenute in anjali all’altezza del cuore. Poi si portano le mani alla fronte inclinando un po’ la testa in avanti per incontrarle. Si piega poi il corpo dalla vita in modo che i due avambracci tocchino completamente la terra e la testa tocchi il suolo tra le due mani; in tal modo la testa, gli avambracci e i due palmi delle mani formano i cinque punti di contatto.
Questo gesto viene ripetuto tre volte – per il Buddha, il Dhamma e il Sangha – dopo di che si inchina leggermente la testa in avanti per completare il movimento.
Questo movimento può presentare delle difficoltà per quelli che hanno qualche impedimento fisico e in tal caso bisogna modificarlo (per esempio inchinarsi dalla vita stando in piedi) per adattarlo alle possibilità fisiche della persona.
Comunque il gesto deve convogliare essenzialmente un senso di calma compostezza, perché se non è fatto con consapevolezza, compostezza e sincerità, ciò che può essere un bellissimo gesto di rispetto e reverenza, può trasformarsi in una goffa contorsione superficiale.
La profondità del significato di questo gesto è tale che se le condizioni non permettono di farlo consapevolmente, è meglio evitarlo completamente. Inoltre, quando ci si inchina, è importante che sia diretto intenzionalmente verso la persona o l’altare a cui si vuole rendere omaggio.
Questo gesto può diventare parte di piccoli ma importanti gesti personali di devozione, all’inizio e alla fine di ogni giorno rivolgendosi a un altare o ad un’immagine del Buddha. Fare questo gesto come prima cosa al mattino e ultima la sera, prepara la mente a dormire e la pone nella giusta disposizione per cominciare una nuova giornata.
Un simile atteggiamento viene adottato anche verso le immagini del Buddha, nel senso che non ci si accosta distrattamente ad esse, ma ci si avvicina con il dovuto rispetto e reverenza.