del venerabile Ajahn Viradhammo
© Ass. Santacittarama, 2007. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Traduzione di Silvana Ziviani
Basato su un discorso tenuto da Ajahn Viradhammo all’ Auckland Vihara nel 1987.
Sono appena tornato da un viaggio a Ottawa per una visita a mia madre e mio fratello e poi sono stato circa due settimane a Toronto per insegnare. Perciò l’argomento del discorso di oggi Dhamma e vita familiare ha un significato speciale per me.
Dhamma è la verità delle cose così come sono, perciò il dhamma nella vita familiare consiste nella pratica di comprendere la verità nel contesto delle varie situazioni familiari. I sentimenti che si sviluppano in famiglia sono molto potenti. I sentimenti che provo verso mia madre, verso mio fratello e i suoi figli, e verso mio padre che morì molti anni fa, sono condizioni molto forti del cuore umano e sono esse che vanno capite.
La nostra vita è sia individuale che sociale. Abbiamo un mondo interiore che è molto personale, ma agiamo in un mondo esterno fatto di persone, cose e situazioni.
Come individui siamo soli. Per esempio, per venire al mondo siamo passati da un grembo dolce, tiepido, accogliente alle luci accecanti di una sala operatoria e forse persino siamo stati sculacciati. E’ un’esperienza molto scioccante. Poi cominciamo a vivere la nostra vita con i suoi dolori, gioie, speranze, aspettative, paure, ansietà, preoccupazioni, successi e fallimenti.
Tutto ciò si sviluppa in modo molto personale. Spesso è un’esperienza molto solitaria. Anche se condividiamo con altri alcuni aspetti di questa esperienza, ci sono molte cose che non possiamo condividere, che dobbiamo sentire da soli. Poi viene la morte, e dobbiamo affrontarla da soli. Nessuno può farlo per noi. La morte è un’esperienza personale. Ci possono essere intorno a noi persone che ci sostengono e confortano ma tuttavia moriamo da soli.
Come abbiamo un aspetto individuale così abbiamo un aspetto sociale che si riferisce al mondo che ci circonda: la famiglia, l’ambiente, i condizionamenti sociali, l’educazione, il tipo di cultura in cui siamo nati, i valori sociali che ci vengono imposti e che noi assorbiamo, i libri che leggiamo, il cibo che mangiamo, i programmi televisivi e tante altre cose. E’ chiaro che tutto ciò influisce sulla vita interiore. La vita esteriore e quella interiore non sono separate. Sono collegate. Abbiamo la responsabilità di capire il mondo interiore e abbiamo la responsabilità di vivere correttamente nel mondo esteriore. Non si escludono affatto a vicenda; sono interdipendenti.
In Canada si parla molto di razzismo. Questo brutto mostro sta rialzando la testa. Prendiamo una persona che è stata allevata con idee razziste: percepirà una parte della società in modo razzista o bigotto. Il suo punto di vista altera il suo mondo, no? Altera il mondo che percepisce. E’ un mondo di odio e fanatismo. La sua realtà perciò è creata dal suo mondo interiore.
Potremmo anche dire che il modo in cui io vi vedo è il modo in cui io influisco su di voi, e il modo in cui voi mi influenzate è il modo in cui io vi vedo. L’esterno diventa l’immagine di ciò che l’interno impone. E questa costruzione percettiva sembra molto reale. Questo punto di vista, razzista e bigotto, può addirittura sembrare la verità ultima. Per quanto uno possa discutere con una persona così, questa continuerà a mantenere il suo punto di vista fissandosi così nella sua stessa creazione e soffrendone le conseguenze, ma non capirà veramente mai il perché. Per una persona così il mondo è quel tipo di realtà.
Nel buddhismo entrambi questi aspetti vengono contemplati e ciò che cerchiamo di vedere è che la nostra stessa vita è questa interdipendenza. Non ci sono soltanto io nel mondo, isolato e vagante come una specie di satellite, ma neanche soltanto il mondo esteriore.
Ora, quando non si presta la dovuta e appropriata attenzione al mondo interiore o quando gli si presta un’attenzione errata e ossessiva, allora questo crea un’infinità di problemi nella vita familiare. Se d’altronde non si presta attenzione al mondo interiore capita o che agiamo sulla base di impulsi spesso scorretti, o soffochiamo molti aspetti del cuore con una costante distrazione. Questa mancanza di attenzione verso il nostro mondo interiore crea molta confusione intorno a noi.
L’insegnamento buddhista ci incoraggia a farci responsabili del nostro mondo interiore. Essenzialmente questo significa che quando ci rapportiamo agli altri dovremmo farlo con parole ispirate dalla compassione e non dall’avidità, dall’odio o dall’illusione. Certo, è una cosa facile da dire, ma spesso molto difficile da praticare. Tutta la confusione, l’illusione, le paure, tutti i tipi di aspettative che abbiamo uno verso l’altro, tutte le esigenze reciproche vengono da un luogo di non compassione. Per esempio, posso avere delle aspettative su di te perché voglio che tu sia un certo tipo di persona non perché provo compassione e affetto per te.
Ricordo che quando ero bambino, essendo di una famiglia di rifugiati, volevo che i miei genitori fossero come gli altri (qualunque cosa questo significasse in Canada) e mi sentivo in imbarazzo a parlare una lingua diversa. Invece di vedere la sofferenza dei miei genitori e il loro grande coraggio, le mie paure e la mia insicurezza proiettavano aspettative su di loro, creando grande sofferenza. Sebbene avessi dei genitori eccezionali, molto gentili e generosi, le mie paure creavano molta sofferenza sia in me che in loro.
Molti anni fa un amico mi parlò di un incontro che ebbe con suo padre. Andarono a fare una passeggiata insieme e il padre disse: “Perché non mi davi mai ascolto quando dovevi prendere una decisione?”. La percezione del figlio fu “Perché non hai mai chiesto nulla?”. Ecco l’esempio di due brave persone che erano vissute insieme per molto tempo ma che non avevano mai veramente comunicato tra di loro, perché ognuno aspettava che l’altro dicesse qualcosa ma questo non era mai avvenuto. Chi dei due aveva ragione o torto? Non lo so; non si tratta di biasimare. Questi sono i tipi di problemi che sorgono in famiglia quando non siamo attenti, consapevoli. Tuttavia il momento che ci risvegliamo al nostro mondo interiore diventiamo anche molto più sensibili verso il mondo che ci circonda.
Che succede se non lo facciamo? Che accade se non capiamo il nostro mondo interiore? Mettiamo che stiamo agendo per bramosia. Se voglio uno status, un riconoscimento, se voglio potere, allora possiamo dire che è un volere per se stessi. Il risultato è che gli altri membri della famiglia non sono più umani, diventano oggetti. Se io non mi prendo la responsabilità della mia avidità, per lo meno fino a un certo punto, cosa accade? Che io ti vedo solo in funzione di poter soddisfare il mio desiderio. Non ti vedo più come un essere umano; diventi solo l’oggetto dei miei desideri. Non sei più una persona che vuole essere felice, ma qualcuno che ostacola la mia felicità o che diventa strumento per compiere le mie necessità. E’ così che perdiamo la caratteristica umana e cominciamo a manipolarci reciprocamente. La conseguenza è che poi ne soffriamo.
Quando non mi sento responsabile della rabbia che ho nel cuore, cosa succede? Se tu sei la persona che mi ha fatto arrabbiare, allora sarai tu a diventare un oggetto. Cioè tu non sei più una persona che soffre come soffro io e che vuole essere felice come lo voglio io. Siccome sei un oggetto che fa qualcosa di sbagliato, devo in qualche modo cambiarti. Rendendoti l’oggetto della mia rabbia, entrambi perdiamo la connotazione umana.
Allo stesso modo funzionano la preoccupazione, la paura e il dubbio. Ci privano della nostra umanità e della nostra capacità di relazionarci sinceramente con gli altri. Eppure queste sono qualità molto umane. E’ molto umano provare rabbia. E’ molto umano provare paura.
Perciò da una parte dobbiamo accettare i nostri sentimenti interiori e dall’altra dobbiamo sentircene responsabili. Sentirsene responsabili significa risvegliarci all’errore di vivere su energie basate sull’avidità, l’odio, l’illusione.
Anche quando agiamo in preda all’avidità, all’odio o alla confusione, vogliamo essere felici lo stesso. Tutti abbiamo dei desideri, non è vero? Tutti abbiamo in cuore l’anelito a essere felici. Se non l’avessimo non saremmo esseri umani.
Non è il volere che è cattivo. E’ parte della natura della vita. Ma dobbiamo volere in modo corretto. Voglio essere felice e per questo sono un monaco. Ci sono alcuni buddhisti che dicono che non dobbiamo avere nessun desiderio. Ma questa è una stupidaggine. Quando veniamo qui al tempio vogliamo conoscenza, vogliamo contemplare il Dhamma. Volere è naturale.
Però dobbiamo anche chiederci: “Qual è la più profonda soddisfazione del desiderare? Dove troviamo la vera soddisfazione?” Il Buddhismo descrive la vera soddisfazione in termini di saggezza e compassione. Considerate quelle volte che siete riusciti a relazionarvi con gli altri senza richieste o aspettative, con cuore aperto e generoso. Non vi siete sentiti liberati anche dal desiderio? La fine del desiderio ha a che fare con la generosità e l’amore incondizionato piuttosto che con l’acquisire ciò che voglio o eliminare ciò che non voglio.
Ma come si riesce ad amare incondizionatamente quando è così umano provare paura, quando è così umano provare rabbia e preoccuparsi? Come può una persona riuscirci? La risposta a come possiamo amare incondizionatamente la si trova nella via buddhista della trasformazione, che in pratica significa capire e osservare tutto ciò che di negativo abbiamo nella mente. Non viene gratuitamente. Quando prendete i precetti non è come prendere il distintivo di buddhista e dire “Va bene, ora sarò un bravo buddhista e amerò tutti, amerò i miei figli sempre e i miei figli mi ameranno, e vivremo felici e contenti per sempre”.
Per arrivare a una trasformazione interiore è molto importante lo stile di vita che assumiamo. Se abbiamo un modo di fare esterno confusionario e poco sensibile verso gli altri, non sarà possibile avere una trasformazione interiore. Se frodo il fisco avrò paura che l’esattore bussi alla mia porta. Perciò essere responsabili del mondo esterno – di coloro con cui viviamo e dell’ambiente in cui viviamo – si traduce nell’osservare i principi morali di non danneggiare se stessi e gli altri attraverso le azioni e le parole.
La responsabilità morale coinvolge anche il modo con cui trattiamo i nostri affari commerciali. Se viviamo sempre su scoperti bancari, la mente sarà più preoccupata di sopravvivere finanziariamente che della trasformazione interna. Perciò gli aspetti pratici di come guadagnarsi da vivere e di come pagare i conti sono molto importanti per la vita spirituale.
Molti di voi che siete qui presenti stasera siete stati molto diligenti nel procurarvi capacità mondane in modo da poter vivere bene e da procurare buone possibilità di vita per i vostri figli. E’ una cosa molto buona. Ma come scopo fine a se stesso non è appagante. Un corretto stile di vita può darvi comunque l’occasione di osservare il vostro mondo interiore e di praticare la trasformazione del cuore. E’ parte del buonkamma proveniente dai vostri sforzi diligenti riuscire a instaurare un’armoniosa vita familiare.
La pratica del Dhamma è una via di trasformazione ed ha la priorità in una sana vita familiare. Vuol dire capire il cuore e usare la vita di famiglia come veicolo spirituale. E per veicolo del Dhamma intendiamo dire che la famiglia non è lì per renderci felici. La famiglia non è lì per darmi sicurezza, i figli non sono lì per realizzare i miei desideri e i genitori non sono lì per cucinarmi i pasti e lavarmi gli indumenti. Al contrario, la famiglia è un’occasione per lasciar andare il mio egocentrismo e sviluppare un cuore compassionevole.
Invece quando la vita di famiglia è un veicolo di auto-gratificazione ogni membro diventa un perdente. Certe volte proiettiamo sui figli o sui genitori ciò che pensiamo essi debbano essere. Dimentichiamo la loro caratteristica umana e non tocchiamo il loro cuore. E come si fa a toccare la reciproca umanità? Accade quando riusciamo a vedere al di là delle nostre aspettative, proiezioni, pretese, paure, e possiamo dire: “Questa persona è un essere umano. Questa persona soffre come soffro io. Questa persona ha i suoi stati d’animo, questa persona vuole essere felice, a questa persona non piace il dolore”. La capacità di cambiare la nostra percezione è l’essenza della trasformazione buddhista del cuore.
E tale trasformazione non riguarda solo la vita familiare ma anche quella monastica. Posso parlare solo per esperienza personale, ma se uno dei miei compagni monaci è di cattivo umore e a me non piace, allora egli diverrà un oggetto di irritazione per me. Il trucco sta nel cambiare la percezione di quel momento e pensare “Be’, anche se ora mi sta irritando, probabilmente sta soffrendo anche lui e vuole anche lui essere felice. Ci sono passato anch’io, lui è come me”.
In effetti è difficile cambiare la propria mente per riuscire a percepire il mondo in modo diverso. Ma perché è tanto difficile? Perché siamo completamente trascinati dall’emozione negativa che sorge. Il lavoro di trasformazione consiste nel sentire la paura, la rabbia o la preoccupazione e trasformarla proprio in quel momento. Questa trasformazione realmente avviene nell’attrito, nel litigio, nelle discussioni, quando non ce la facciamo più. Possiamo allora vedere il sorgere di queste cose, divenirne sempre più consapevoli e poi cambiare la nostra percezione.
Questa è la vera pratica. E’ quella che si chiama “pratica spicciola” o “pratica da TV” o “pratica da tavola” o qualsiasi altra cosa. Non la si fa nel tempio, è nel cuore. La meditazione seduta non sempre riesce a curarvi. La pratica va fatta quando uno è sotto pressione.
A livello esterno, dato che la società ha un sistema legale, noi dobbiamo essere responsabili all’interno di queste leggi. Allo stesso modo, i genitori sono responsabili per i loro figli e sono essi che dettano le regole. E’ necessario perché essi hanno maggior esperienza e anche perché sono essi a pagare i conti! I genitori devono guidare i figli ma questa guida deve essere basata sulla saggezza non sulla rabbia. E deve tendere a liberare piuttosto che a schiavizzare, altrimenti non funziona. Non diciamo semplicemente “Che tu possa essere felice, che tu possa essere felice!” e lasciamo che le cose capitino da sole. Al contrario dirigiamo, diciamo di sì o di no, ma comunque è l’atteggiamento che sta dietro alle parole che conta.
Il Dhamma ha la priorità e partendo da questa base le decisioni prese saranno buone. Io credo che la chiarezza dei genitori che dicono di sì o di no viene da un cuore compassionevole. Tuttavia non è affatto compassionevole dire di sì a tutto ciò che un bambino vuole. Non è forse la cosa peggiore che si possa fare a un bambino? “Sì, sì, sì, sì, Mario”… e Mario finirà per odiarvi quando avrà 28 anni! L’idea che la compassione sia una forma di indulgenza non va, anzi la compassione è una forza.
La gente spesso è incerta sul significato di compassione. Alcune volte confondono l’infatuazione e l’attaccamento con la compassione. Quando amiamo qualcuno in modo appassionato, quell’amore può facilmente trasformarsi in rabbia o gelosia. Se avviene questo non possiamo chiamarla compassione. L’attaccamento è mutevole con alti e bassi ma la compassione è tranquilla. Non chiede che tu mi renda felice. Non si aspetta soddisfazione da qualcun altro. Anzi la compassione è l’interesse per il benessere altrui, a prescindere dai propri desideri. Perciò quando c’è la compassione facciamo le scelte e prendiamo le decisioni migliori, perché abbiamo una chiarezza che non viene pregiudicata da desideri e paure personali.
Gran parte del lavoro di trasformazione richiede pazienza, perché spesso non otteniamo ciò che vogliamo o ci aspettiamo dalla vita. Per esempio, se devo prendere un treno o un aereo per venire qui a Auckland potrei diventare molto impaziente se siamo in ritardo. Nel monastero dirò: “Okay, devo andare all’aeroporto e voglio che la macchina sia pronta a quella data ora”, ma la vita è imprevedibile e invariabilmente qualcosa va storto e posso diventare molto impaziente, giustamente impaziente, naturalmente!. Ma è proprio qui che devo sviluppare la pazienza. Dove altro potrei sviluppare la pazienza se non nel bel mezzo di una situazione frustrante? Non ho bisogno di sviluppare la pazienza quando tutti i miei desideri si compiono. Il lavoro di trasformazione avviene proprio lì dove non posso ottenere ciò che voglio.
Molti credono che il mondo sia un luogo che li renderà sempre felici. All’interno di una famiglia certe volte si pensa: “Ah se i miei figli fossero sempre buoni, se non fossero così difficili!” oppure “Ah se i miei genitori fossero sempre calmi e se non fossero così antiquati la vita sarebbe meravigliosa” o ancora “Se il mio partner fosse diverso, sarei felice!” Se la pensiamo così, dovremo aspettare un bel po’ per essere soddisfatti.
E’ un’idea strana, vero? Pensare che se tutti fossero giusti io non soffrirei. In altre parole, se tutto il mondo si conformasse alla mia rete di desideri, se soddisfacesse tutte le mie aspettative, allora sarei felice. Be’, il mondo non va proprio così, vero?
Una delle principali difficoltà nell’usare la vita familiare come veicolo spirituale è la tendenza che abbiamo di proiettare le nostre emozioni e l’agitazione interna sui membri della famiglia. Per esempio, sono sposato e mi sento annoiato e allora proietto questo sul partner. Invece di contemplare la noia come parte del Dhamma, potrei facilmente cominciare a biasimare il partner, pensando che non ho potuto avere un vero appagamento a causa sua. Non sarebbe una cosa molto onesta da fare; anzi si può dire che è una illusione.
La stessa cosa vale per la rabbia, la gelosia, la paura e l’ansia. Sono cose che sembrano così reali che è molto facile creare intorno ad esse un mondo di sofferenza. Osservate quei momenti in cui vi siamo arrabbiati. La rabbia vi è sembrata molto reale, vero? “Sì, sei uno stupido. Hai sbagliato” e la mente va avanti così. Forse abbiamo urlato contro qualcuno e in seguito ci sentiamo imbarazzati della nostra stupidità. Eppure in quel momento il mondo ci pareva proprio in quel modo.
Questa è la natura dell’illusione. La confusione interiore si proietta su chi ci sta intorno creando una situazione familiare sempre più confusa. Prendiamo la bramosia. Quante volte abbiamo sentito che assolutamente abbiamo bisogno di una cosa? Allora andiamo a comprarla e dopo pochi mesi sta in un angolo della stanza piena di polvere. Non ne avevamo affatto bisogno ma non ci sembrava così in quel momento. E’ proprio questa tendenza a credere nella bramosia, nella rabbia o nella paura considerandole realtà, che chiamiamo illusione o ignoranza.
L’interdipendenza tra interno ed esterno significa che quando credo nella rabbia il mio mondo è un mondo di rabbia; quando credo nella preoccupazione il mio mondo è un mondo d’ansia; quando credo nella paura è un mondo minaccioso.
Questa tendenza a credere, e quindi a seguire, tutti i capricci e le passioni del mondo interiore è la sorgente maggiore di conflittualità familiare. Ma, siccome siamo esseri umani, queste tendenze alla rabbia, alla bramosia e alla preoccupazione sono destinate a saltar fuori nella vita familiare. Che dobbiamo fare allora?
Secondo me il segreto sta nel considerare il sorgere della sofferenza interiore come una occasione di trasformazione, una occasione per vedere come lavorano i vecchi schemi dell’ignoranza. Se non credo in essi, li posso osservare mentre scompaiono e il loro potere su di me diminuirà.
Nel Buddhismo diciamo che l’ignoranza è il non conoscere o il non vedere con chiarezza. Non è mancanza di comprensione intellettuale ma la mancanza di intuizione su come stanno realmente le cose, una mancanza di comprensione profonda e sentita. Se siamo completamente sensibili al nostro mondo interiore e quindi non crediamo ciecamente alle nostre proiezioni, allora la vita di famiglia sarà un’ottima occasione per la libertà interiore e per l’armonia esteriore.
Quando diciamo che la consapevolezza o presenza mentale è la via della libertà, significa che siamo pienamente consapevoli di cose come la rabbia, la paura e la gelosia. Ma le vediamo più come condizioni mentali che come realtà concrete. Quando queste cose cambiano e non vi crediamo allora il nostro mondo non sarà più condizionato da esse. Perciò se sono arrabbiato con i miei figli, con il cane, con il governo o con i suoceri, vedo che è solo rabbia e basta. Non attaccatevi e non create un mondo intorno a questi stati d’animo. Siate pazienti e vedrete che passeranno.
Se desidero una nuova macchina, un nuovo computer o uno stereo migliore, tutto ciò non è che bramosia. Meglio essere pazienti e osservare la bramosia cessare piuttosto che coltivare gli infiniti desideri stimolati dalla nostra società consumistica. Che fa sempre la pubblicità televisiva? “Se avrete questo sarete felici, sarete veramente soddisfatti” E allora andate a procurarvelo, a prenderlo, a comprarlo e non osservate mai l’impulso a ottenere. Non porta mai alla fine della bramosia.
Non vogliamo con ciò negare il desiderio di avere delle cose, ma per muoversi verso qualcosa di più tranquillo, dovete agire in quel momento, dovete lasciare andare. E come lo facciamo? Se riuscite a dire: “Non ne ho bisogno, posso farne a meno” allora questa è una trasformazione del cuore e della mente. Non è repressione, semplicemente un accostarsi alla pace della mente.
Richiede un duro allenamento portare alla coscienza, trasformare e lasciar andare, sia ciò bramosia per qualcosa o rabbia verso qualcuno o paure e preoccupazioni. Non è un esercizio ascetico nel senso che non dobbiamo torturarci, ma la trasformazione richiede un gran lasciar andare. L’idea che possiamo essere liberi e tranquilli pur seguendo ogni vecchio stato d’animo, non funziona.
La vita familiare talvolta scorre armoniosa e amorevole, ma può anche essere irta di difficoltà. Anche se in quel momento è relativamente sicura e confortevole, il futuro comunque è incerto, per cui le preoccupazioni sono un problema comune in famiglia. Possiamo essere messi in cassa integrazione, i nostri figli possono essere bocciati a scuola, potremo ammalarci in futuro. La mente che si preoccupa non è mai soddisfatta, si afferrerà a qualsiasi cosa e proverà angoscia. Perciò, che sia il mio lavoro, il mutuo, la pancetta della mezza età o ciò che pensano di me i miei vicini, tutto ciò non è che preoccupazione.
Le complicazioni della vita possono essere sistemate con un modo di vivere corretto che si adatta ai cambiamenti della vita. Ma se l’inquietudine è una abitudine acquisita, continuerà a brontolare in fondo alla mente qualsiasi cosa facciamo. Come facciamo allora a superare questa inquietudine? Come possiamo spostarci verso una zona del cuore più fiduciosa e tranquilla? E in cosa possiamo veramente aver fiducia?
Be’, non si può aver fiducia a niente che sia soggetto a cambiamento; tutto è incerto. Non potete aver fiducia che il vostro corpo rimanga sempre sano. Non potete aver fiducia nell’economia. Non potete aver fiducia di avere un impiego permanente. E allora in cosa si può aver fiducia?
Nel Buddhismo diciamo che si può aver fiducia nei Tre Rifugi. Potete aver fiducia nella vostra capacità di essere sveglio e consapevole. Questo è il Buddha. Potete aver fiducia nella Verità delle cose così come sono. Questo è il Dhamma. Potete aver fiducia nella bontà delle vostre intenzioni, nella bontà delle vostre azioni morali e generose. Questo è il Sangha.
Per esempio, se provate rabbia e avete fiducia in questa rabbia, che succede? In una parola: sofferenza! Ma se avete fiducia nella conoscenza che quella è una sensazione di rabbia, che è un oggetto mentale e non una realtà permanente, allora questo è retto conoscere, è il nostro rifugio nel Buddha. Se avete fiducia che questa rabbia passerà, che non dovete né reprimerla né attivarla, allora questo è in armonia con la natura ed è il nostro rifugio nel Dhamma. Anche se la rabbia potrebbe portarmi verso la violenza, avrete fiducia nella virtù di non danneggiare gli altri. Questo è il rifugio nel Sangha.
Questo terzo rifugio nel Sangha corrisponde alla pratica di trasformazione, cioè ad essere una brava persona e a praticare veramente. E’ facile avere l’idea di essere una buona persona, ma è molto difficile esserlo veramente.
Può darsi che al mattino mi dica “Oggi sarò una brava persona e non farò niente di sbagliato. Ascolterò i discorsi diBhante, avrò fiducia in tutti, non mangerò in eccesso, sarò senza paura e sarò pieno di compassione per i miei figli”. Così preparate il vostro programma ma vi sentirete molto delusi alla fine della giornata e può darsi che finirete addirittura per detestarvi.
Se invece uno dice: “Quando sorgerà la paura cercherò di sviluppare fiducia. La osserverò e vedrò che è solo una condizione della mente invece che prenderla per una realtà permanente” e allora cosa accadrà? Cominceremo ad aver fiducia più nella trasformazione che nella paura. Allo stesso modo, quando sorge la rabbia, possiamo cercare di trasformarla in pazienza e compassione. Quando sorge la bramosia possiamo osservarla e trasformarla in rinuncia, lasciando perdere ciò di cui non abbiamo bisogno. Questo non è solo un ideale, ma qualcosa che possiamo veramente fare.
Non sarà tutto perfetto immediatamente, ma potete esprimerne l’intenzione. La pratica buddhista è basata molto sulla retta intenzione o retto proposito. Dobbiamo esprimere retti propositi per noi e per la nostra famiglia. Se dico “Sei un buono a nulla!” che beneficio ne trai?; ti sentirai forse come un buono a nulla o mi odierai. Perciò questo non è un retto proposito. Se mi dico “Sono un buono a nulla” anche questo non è salutare. Ciò che devo fare è esprimere propositi compassionevoli quali “Che io possa essere libero dalla rabbia. Che io possa essere libero dall’avidità. Che io possa essere libero dalla paura”. Questi sono retti propositi da fare.
D’altra parte, se mi alzo una mattina d’inverno, grigia e piovosa, e le mie finanze stanno andando in malora e ho appena ascoltato la notizia di altre sei violenze carnali ad Auckland, e 14 omicidi, e sono molto depresso, e poi riaccendo la radio per avere altre notizie, e mi deprimo ancora di più, allora sicuramente il mio primo pensiero sarà: “La vita è brutta ma devo andare a lavorare, e oh che orrendo paese è questo…”
Che tipo di proposito è questo? E’ un proposito di infelicità. Ed è ciò che creo nel mio mondo. Perciò devo tenere lontano questo tipo di suggestioni. Quando la mente mi dice “Non ce la faccio più!” mi risveglio! E allora posso rispondere “Ecco cosa si prova ad essere infelici”. E a questo punto l’infelicità diventa solo un oggetto. Non ha potere ed è qualcosa che può essere conosciuto.
Perciò ho una scelta. Posso credere nella mia infelicità o posso lasciar andare. Il modo per lasciar andare è dirsi “Oggi cercherò di essere più consapevole. Cercherò di essere più sensibile verso la gente che mi sta intorno. Cercherò di essere più compassionevole verso me stesso”. Questi sono propositi molto belli per il cuore.
Non vi sembrerà granché. Ma osservate la mente. Quante volte al giorno vi date suggerimenti salutari e quante volte al giorno andate avanti lasciandovi guidare dal pilota automatico? Mettere il pilota automatico è molto pericoloso perché potete schiantarvi contro una montagna. E il modo di pensare che abbiamo quando mettiamo il pilota automatico è spesso negativo. “La vita è una miseria… mumble… groan… questi bambini, o questi genitori… uffa, uffa…”
Risvegliarsi significa non mettere più il pilota automatico. Significa che siamo completamente vivi. Per notare un pensiero non salutare, come ad esempio un pensiero di ansia, di paura, di rabbia, è la via della consapevolezza. E poi la via della trasformazione significa non investire alcuna energia in tutto ciò. E’ un lavoro per la vita e dobbiamo continuare a farlo. Siccome è un lavoro continuo, dobbiamo essere sempre pazienti e compassionevoli con noi stessi. Non può funzionare il continuo giudicare se stessi.
La via della trasformazione significa che ci prendiamo la responsabilità delle nostre azioni e parole sbagliate. Sviluppiamo la retta intenzione pensando “Questa è una zona su cui devo lavorare, devo metterci più determinazione, devo essere più vigile, devo trasformarla”. C’è un senso di responsabilità personale, vero?
Se getto ogni colpa sul mondo che mi circonda, se non sono mai consapevole del fatto che sono arrabbiato, se non mi risveglio mai al fatto che sono pieno di ansia, o se non sono mai consapevole di desiderare sempre qualcosa d’altro, allora non sarò mai in pace. Avrò sempre bisogno di qualcos’altro. Avrò sempre bisogno di una qualche forma di distrazione o avrò sempre bisogno di liberarmi di qualcosa. Così non ci sarà alcuna pace per me e per la mia famiglia.
Se dobbiamo realizzare il nostro potenziale umano e non vivere semplicemente a livello animale, dobbiamo risvegliarci completamente alla vita. Essere consapevoli del nostro mondo interiore e delle sue passioni e energie fa parte dell’essere veramente vivi. Certe volte noi la chiamiamo la pratica del Buddha che conosce il Dhamma. Se non possiamo essere pienamente svegli, allora la vita di un individuo come quella di una famiglia non diventa altro che una inutile successione di azioni e reazioni. Si perde la gioiosa possibilità della vita familiare come una trasformazione spirituale.
Perciò cos’è la Via di Mezzo? Significa che osserviamo onestamente le tendenze che potrebbero causare confusione nei nostri cuori e sofferenza alle nostre famiglie. Ci sforziamo di praticare la trasformazione, sapendo che sarà il lavoro di tutta una vita.
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Ajahn Viradhammo, nato in Germania da famiglia lettone ma canadese di adozione, è monaco della tradizione della foresta dal 1974. E’ stato uno dei primi discepoli occidentali di Ajahn Chah e ha fondato il monastero Bodhinyanarama in Nuova Zelanda. Dal 2006 si occupa nel fondare un nuovo monastero in Canada, vicino ad Ottawa (www.tisarana.ca).