di Ajahn Mahapañño
I cinque nīvaraṇa, “impedimenti” (per approfondire), sono gli ostacoli comuni per tutti i praticanti allo sviluppo di una mente calma e a quello della conseguente saggezza. Gli esercizi che vengono proposti si basano su accrescere l’abilità della mente a non rimanere bloccata in uno di questi impedimenti, promuovendone l’agilità riflessiva e una modalità di relazionarvisi diversa. Alcuni dei suggerimenti contenuti in un esercizio potrebbero essere estesi anche ad altri impedimenti, ma al fine di facilitare l’apprendimento può essere più utile incominciare focalizzandosi con una strategia alla volta per ciascun nīvaraṇa, per poi apprezzare sempre maggiormente le tante possibilità con cui è possibile disidentificare la mente dai propri contenuti.
Esercizio 1: Kāmacchanda – desiderio sensoriale (10 – 24 maggio)
Esercizio 2: Vyāpāda – malevolenza (25 aprile – 9 maggio)
Esercizio 3: Thīna-middha – pigrizia e torpore (11 – 24 aprile)
Esercizio 4: Uddhacca-kukkucca – agitazione e ansia (27 marzo – 10 aprile)
Esercizio 5: Vicikicchā – dubbio (12 – 26 marzo)
L’esercizio da praticare insieme in queste 2 settimane è il n. 1, Kāmacchanda – desiderio sensoriale. (Chi volesse rileggere gli esercizi precedenti e le testimonianze di pratica relative ad essi, potrà andare alla pagina tutti gli esercizi)
Esercizio 1: Kāmacchanda – desiderio sensoriale.
Una domanda semplice ma opportuna è perché la mente rimanga appiccicata ai desideri. La risposta è quasi scontata: perché attribuisce agli oggetti desiderati dai sensi un aspetto piacevole da cui trarre felicità. Se però sviluppiamo una percezione di questi oggetti diversa da quella comunemente in vigore, ponendo attenzione a quegli aspetti degli oggetti stessi che innegabilmente non sono affatto piacevoli, ma possono risultare non attraenti e scomodi o addirittura repellenti, allora la mente modifica il suo atteggiamento e ritrova il suo naturale equilibrio.
Ovviamente a questo punto può sorgere un’altra domanda: se sottraggo alla vita questa percezione di piacere cosa mi rimane? La risposta è immediata, la libertà spirituale.
Se siete interessati ad essa, allora proseguite nella lettura delle successive riflessioni di pratica, altrimenti meglio fermarsi qui per non coinvolgersi in un diniego o una potenziale polemica a favore dei propri desideri, che non sarebbe di alcun beneficio per nessuno.
Il cibo è un piacere, peccato però che questo piacere nasca dal dover placare una sensazione disagevole, la fame, e poi continui con altro disagio per la necessità di espellere dal corpo i suoi residui solidi, liquidi e gassosi. Riflettendoci meglio risulta così un piacere piuttosto relativo, con cui però avremo già riempito quante ipotetiche stanze con gli alimenti fino ad oggi consumati? Quanti metri cubi ci siamo già ingeriti? E su quanti altri siamo ancora disposti ad investire parte della nostra felicità?
Prendiamo un boccone dal bel piatto davanti a noi, mastichiamolo bene, e rimettiamolo nel piatto … è sempre invitante?
Modifichiamo la nostra percezione del cibo, riportandola alla sua funzione fondamentale di nutrimento praticando attenzione non solo alla “portata”, ma anche a tutto il processo del nutrirsi: la fatica del reperire il cibo, cucinarlo, masticarlo, digerirlo, espellerlo …
Tutto questo per il corpo, perché per il corpo abbiamo una radicata attrazione, sia esso nostro o quello altrui.
Ma di un corpo da cui siamo attratti cosa effettivamente vediamo? Poco, veramente poco, la nostra attenzione è decisamente selettiva e limitata, viziata dal desiderio. Ci dimentichiamo di come sia fatto: ossa, tendini, muscoli, vari liquidi ed organi … tutte cose che in genere non vorremo avere accanto, tranne quando non le vediamo. Il tutto è ricoperto dalla pelle, con la peluria più o meno evidente, i suoi foruncoli, i suoi “adorabili” nei che non importa se siano piccole masse tumorali! In realtà non vediamo neppure la pelle.
Passa un corpo improfumato, e non ci viene in mente che se è improfumato è solo perché di sua natura non lo è, ma anzi nel giro di poco tempo da una doccia, maleodorerà nuovamente.
Abbiamo fatto degli esempi abbastanza grossolani, ma i desideri sensoriali sono anche molto più sottili e si estendono a tutto il campo della vista, udito, olfatto, gusto e tatto.
Incominciamo comunque la pratica di asubha (riflessione sugli aspetti non attraenti, repulsivi) dal cibo e dal corpo, prendiamo questi spunti come un invito a provare a pensare in modo alternativo e dopo un primo imbarazzo scopriremo un lato creativo e divertente, ma sopratutto la libertà del vivere senza essere più ingannati da una mente condizionata a percepire solo alcuni degli aspetti della realtà che ci circonda.
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