di Ajahn Mahapañño
Con pāramī ci si riferisce ad una perfezione del carattere, tradizionalmente si parla di un gruppo di dieci qualità del cuore che se sviluppate, fino alla loro compiutezza, portano al Risveglio, esse sono infatti le qualità coltivate dal bodhisatta.
Gli esercizi che vi proponiamo hanno la piccola pretesa di farci notare queste qualità in relazione ad alcuni aspetti della nostra vita. Molteplici potrebbero essere le angolazioni su cui riflettere e praticare per assaporare la libertà in esse contenuta, facciamo un passo assieme impegnandoci in quanto suggerito.
Esercizio 1: Dāna – generosità
Esercizio 2: Sīla – moralità
Esercizio 3: Nekkhamma – rinuncia
Esercizio 4: Paññā – saggezza
Esercizio 5: Viriya – energia
Esercizio 6: Khanti – pazienza
Esercizio 7: Sacca – veridicità
Esercizio 8: Adhittāna – determinazione
Esercizio 9: Mettā – benevolenza o gentilezza amorevole
Esercizio 10: Upekkhā – equanimità
Esercizio 1: Dāna – generosità
Ogni atto di generosità è un regalo che facciamo prima di tutto a noi stessi, non solo agli altri.
Se vogliamo confrontarci con una pratica che inizialmente potrebbe presentarsi difficile per diversi di noi, da oggi possiamo impegnarci ad essere più generosi verso i nostri genitori. Essere più generosi verso di loro in termini di tempo e disponibilità, di attenzione, anche con doni inaspettati, telefonandogli e facendogli visita frequentemente (se non abitassimo assieme).
Una generosità fatta di gentilezza e premura verso chi ci ha allevato.
Se una persona, in un momento di bisogno, ci offrisse un pasto, dei vestiti, un riparo, gli saremo grati? E i nostri genitori quanti pasti, vestiti, alloggi ed altro ci hanno offerto nei momenti più fragili e indifesi della nostra vita? Non diamo per scontato che loro dovessero essere generosi verso di noi, ma modifichiamo le nostre false pretese e giudizi al riguardo, in atti di generosità per loro.
Abbiamo mai offerto un massaggio a nostro padre o a nostra madre? Presumibilmente anche loro hanno un qualche doloretto che aspetta di essere sciolto un po’ e che forse non necessita di troppe parole. Diamoci la possibilità di provare.
Generosità è anche saper offrire un massaggio al proprio genitore.
Se entrambi i nostri genitori fossero già morti, allora possiamo fare della carità a chi presumiamo ne abbia bisogno e dedicare la bontà di tale gesto alla loro memoria. Questo è il modo tradizionale di ricordarli con gratitudine.
Esercizio 2: Sīla – moralità
La qualità del cuore della moralità ci porta a menzionare ciò che definisce i sui confini, il comportamento minimo che la contraddistingue, ovvero i cinque precetti:
- astenersi dal distruggere intenzionalmente qualunque creatura vivente
- astenersi dal prendere ciò che non è stato dato liberamente
- astenersi da una cattiva condotta sessuale
- astenersi da un linguaggio scorretto
- astenersi da bevande intossicanti o da droghe che alterano la mente
Fuori da questi confini si smarrisce il cuore umano e si estende il doloroso mondo di animali, spiriti affamati e demoni.
Alla sera, prima di coricarci, preferibilmente dopo una meditazione silenziosa, ispiriamoci ad una parte di riflessione utilizzata dai monaci per prendere in considerazione il proprio comportamento della giornata. In riferimento ai cinque precetti domandiamoci:
- C’è motivo per cui del rimpianto possa sorgere nella mia mente?
- Potrebbero i miei amici spirituali trovare delle mancanze nella mia condotta?
Possiamo fare tale riflessione davanti al nostro piccolo altare oppure davanti la foto di un nostro vero amico spirituale che rappresenta per noi un esempio di moralità.
Non si tratta di crearsi sensi di colpa, ma iniziare a capire che al di là dei precetti c’è solo il “cattivo karma” e quindi i presupposti della nostra sofferenza. Impegniamoci per la nostra felicità, manteniamo la base della moralità e riflettiamo con cura sui nostri comportamenti quotidiani.
Esercizio 3: Nekkhamma – rinuncia
Alla base di questa qualità del cuore c’è un’aspirazione alla semplicità, un mettere da parte tutto ciò che non è fondamentale per la nostra felicità, ma che anzi potrebbe costituire nelle nostre vite una forma di zavorra.
Apriamo il frigorifero di casa. Quanto di quello che c’è dentro è veramente necessario e quanto invece è un’accumulazione di tutto ciò che immaginiamo potrebbe “forse, non si sa mai, chissà, magari” esserci indispensabile? E nella credenza? Scatolami, pacchi e pacchetti …
Durante questa settimana impegniamoci a prendere in considerazione come e perché riempiamo il frigo e la credenza, a semplificare questi spazi riducendo gli acquisti dei cibi che non utilizzeremo nell’immediato o che sono abbastanza superflui e forse neppure nutrienti.
Quante stanze della nostra casa potremmo stipare con tutto il cibo che abbiamo mangiato fino ad ora? E poi dove è andato a finire?
Semplifichiamo. Ripuliamo il frigo e la credenza, ripuliamo il nostro cuore.
Se in famiglia non vi occupate della gestione della spesa alimentare, potreste aprire il vostro armadio e dare un’occhiata a tutto quello che raramente indossate, ma che sembra essere importante appeso nelle grucce!
Esercizio 4: Paññā – saggezza
Non è facile, e in genere neppure immediato, sviluppare la saggezza. Prima di tutto bisognerebbe apprendere le basi su cosa e come riflettere, ed interiorizzare sempre più questa “visione” grazie al sostegno della meditazione.
Forse converrebbe iniziare a capire la differenza fra la qualità della calma mentale (spesso confusa per saggezza) e la qualità della saggezza (spesso confusa con il ragionamento). A tal fine, come compito per queste 2 settimane, potreste ascoltare gli audio relativi a Studio su Samatha-Vipassana che trovate alla pagina https://www.saddha.it/mp-2013-arezzo/.
Esercizio 5: Viriya – energia
Per dare continuità alla nostra pratica e quindi ricevere veramente dei benefici è necessario sapersi motivare e sapendosi motivare sapremo infondere “energia” alla pratica.
Ogni volta che siamo davanti ad uno specchio, fermiamoci, facciamo tre respiri e guardiamoci negli occhi. Non importa se siamo belli o brutti, con i capelli fuori posto, le rughe o quant’altro. Guardiamoci onestamente negli occhi e riflettiamo:
“I giorni e le notti passano ed io come sto occupando il mio tempo?
Sto cercando in queste giornate, in questa vita, di fare qualcosa di buono per me e per gli altri, grazie alla mia pratica spirituale?”.
Riflettiamoci su, noi e lo specchio, non con un senso di giudizio, ma di dignità umana, fiduciosi nelle nostre abilità di migliorarci.
Esercizio 6: Khanti – pazienza
Basterebbe un po’ di pazienza e l’abilità di tollerare, e moltissimi dei nostri piccoli o grandi disagi sarebbero “quisquilie, bazzecole, pinzillacchere”. Esercitiamoci con la nostra quotidianità.
Davanti ad un semaforo rosso sappiamo semplicemente respirare, rilassando il corpo e allentando la presa delle mani dal volante?
In una coda in banca o in posta, sappiamo osservare il respiro con un sorriso, sentendo anche il contatto dei piedi sul pavimento?
All’uscita di scuola dei nostri figli, possiamo attenderli sviluppando “benevolenza” invece che un pensiero del tipo “svelto-svelto, dai-dai”?
Sappiamo aspettare che l’acqua della pentola per la pasta possa bollire, ascoltandone il borbottio e restando tranquillamente seduti? E quella della caffettiera?
Possiamo guardare l’orologio notando, ed eventualmente rilassando, le tensioni che potrebbero esserci attorno ai nostri occhi, sulle palpebre?
Non tutto arriva subito e sicuramente le qualità spirituali arrivano solo se coltivate nel tempo. Ci vuole una tollerante pazienza. Approfittiamo dei momenti della vita in cui, per quanto sottile, uno stato di agitazione possa sorgere per riconoscerlo come motivato da “quisquilie, bazzecole, pinzillacchere” e godiamoci il nostro respiro rilassato.
Esercizio 7: Sacca – veridicità
Presumo che non possa esserci il fondamento per la verità senza una iniziale onestà verso se stessi. Ajahn Chah una volta commentò: “Gli occidentali sono come avvoltoi, volano alto, ma poi si cibano di cadaveri”.
Quando parliamo di spiritualità, talvolta le spariamo davvero troppo grosse! Cosa abbiamo veramente in mano?
Per questa settimana l’esercizio sarebbe molto semplice: se parliamo o scriviamo di pratica, parlare e scrivere solo di ciò che sappiamo per esperienza diretta oppure citando umilmente e fedelmente le fonti.
Il divario fra l’altezza del volo e il cadavere è spesso solo la caduta delle nostre verità assolute. È solo una nostra sofferenza. Abbiamo perso il contatto con l’onestà di base da cui si coltiva la potenziale Verità.
Esercizio 8: Adhittāna – determinazione
Nel momento che percepiamo un disagio interiore, come se qualcosa ci mancasse o non fosse al posto giusto, rivolgiamoci interiormente. Proviamo a cogliere questo disagio mentre sorge ed invece di cercare distrazioni, come spesso facciamo, prendendo una rivista, accendendo la TV o la radio, andando al frigo o cercando un qualche tipo di conversazione, questa volta semplicemente portiamo l’attenzione al nostro respiro. Respiriamo senza aspettative, senza dover cambiare nulla, lasciando tutto così com’è. E se proprio qualcosa andrà fatta, ci penseremo poi…
Questa è la nostra determinazione per la settimana. Almeno per i prossimi sette giorni.
Esercizio 9: Mettā – benevolenza o gentilezza amorevole
Alla mattina, appena alzati, andiamo alla finestra, sentiamo il contatto della mano con la maniglia, teniamola mentre ad occhi chiusi ci raccogliamo su tre respiri ed un sorriso. Ed ora apriamo gli occhi e la finestra, e indipendentemente che il tempo sia bello o brutto, caldo o freddo, auguriamo a ciò che c’è la fuori: “Che tutti gli esseri possano essere felici”. Affacciati alla finestra auguriamoci anche: “Che io possa essere felice”.
Durante tutta la giornata, ogni volta che ci capita di aprire una finestra o una qualsiasi porta, raccogliamoci un attimo sentendo il tocco della mano sulla maniglia, facendo un respiro ed un sorriso, per poi augurare ogni bene a chiunque ci sia o non ci sia di là.
Se le finestre avessero delle tapparelle o persiane, ovviamente basta aprire anch’esse e se le porte fossero automatiche ci si può sempre raccogliere sul loro movimento… non lasciamo che i nostri piccoli dubbi “razionali” o ansie possano ostacolare la benevolenza!
Esercizio 10: Upekkhā – equanimità
Osserviamo un qualcosa che ci piace, può essere un oggetto come pure una persona. Osserviamolo e poi chiudiamo gli occhi. Ad occhi chiusi, con un po’ di fantasia e voglia di mettersi in gioco, immaginiamo questo “qualcosa” in modo che perda le proprie attrattive e si manifesti con caratteristiche diverse.
Ad esempio, se quel “qualcosa” fosse una pizza, immaginiamola ora mezza mangiucchiata, fredda e gommosa sul piatto sporco. Se fosse stato un’auto, immaginiamola rigata, rugginosa, ammaccata o mentre dobbiamo pagare un pieno dal benzinaio. Se fossero state delle scarpe, ora sono rotte e comunque non erano mai state troppo comode.
Notiamo come il desiderio verso questo “qualcosa” tenda a scemare, e forse al suo posto compaia un mezzo sorriso.
E se quel “qualcosa” fosse una persona dell’altro sesso? Chiudiamo gli occhi e immaginiamo come spesso può essere la vita di coppia trascorsa l’iniziale “luna di miele”, con lei o lui che si domandano “perché non siamo come loro volevano che noi fossimo”… lascio a voi ulteriori specificazioni!
Apro e chiudo gli occhi, apro e chiudo. Sviluppiamo l’abilità di vedere il mondo sia ad occhi aperti che chiusi. La mente mostrerà così entrambi i lati della medaglia. Un lato potrà però rimanere più potente, e tenderà a prevaricare l’altro, qui è dove abbiamo i maggiori attaccamenti.
Ma continuiamo a batter le ciglia. Apro e chiudo, apro e chiudo. Facciamolo più e più volte con quel “qualcosa”. Diventiamone esperti, scoprendo che può essere anche piuttosto spassoso. Il risultato sarà un maggior equilibrio e un po’ d’equanimità, comprendendo che il mondo che vedevamo ad occhi aperti era visto ad occhi chiusi.
Successivamente possiamo provare in modo analogo anche con quel “qualcosa” che non ci piace.