Un’introduzione alla vita e agli insegnamenti di Ajahn Chah
di Ajahn Amaro
Gli ultimi anni
Durante il ritiro delle piogge del 1981 Ajahn Chah si ammalò gravemente, sembrerebbe per una qualche forma di colpo apoplettico. Negli ultimi anni la sua salute era stata traballante, aveva avuto vertigini e problemi di diabete, ed era giunto il crollo. Nei mesi immediatamente successivi ricevette vari tipi di cure, incluse alcune operazioni, ma non servì a nulla. Peggiorò continuamente, fino a che, intorno alla metà dell’anno seguente, a parte qualche piccola possibilità di movimento per una mano, divenne paralitico e perse la facoltà della parola. Poteva ancora battere gli occhi.
Rimase in queste condizioni per dieci anni, ma diminuirono lentamente le poche aree del corpo che poteva controllare, fino a che andò perduta ogni possibilità di movimento volontario. Durante questo periodo si disse spesso che egli stava ancora insegnando ai suoi discepoli: non aveva incessantemente ripetuto che ammalarsi e decadere è nella natura del corpo, e che nessuno può esercitare su di esso alcun controllo?
Ebbene, è esattamente in questione proprio una lezione fondamentale: né un grande Maestro e nemmeno il Buddha stesso possono sfuggire alle inesorabili leggi della natura. Come sempre, il compito è quello di trovare pace e libertà mediante la non identificazione con le forme in mutamento.
Durante questo periodo, nonostante le sue gravi limitazioni, Ajahn Chah riuscì occasionalmente ad insegnare non solo quale esempio dell’incertezza dei processi della vita e offrendo ai suoi monaci e novizi l’opportunità di fornirgli assistenza infermieristica. I bhikkhu erano soliti lavorare a turno, tre o quattro per volta, per provvedere alle esigenze fisiologiche di Ajahn Chah, che necessitava di assistenza giornaliera ventiquattr’ore su ventiquattro.
Durante un turno di assistenza, due monaci si misero a discutere, dimenticandosi completamente – come spesso avviene attorno a persone paralizzate o in stato comatoso – che l’altro occupante della stanza potesse essere del tutto conscio di cosa stava accadendo. Se Ajahn Chah fosse stato completamente attivo, sarebbe stato impensabile che si fossero messi a battibeccare di fronte a lui. Man mano che le parole si facevano più roventi, un moto di agitazione iniziò a palesarsi nel letto e attraversò la stanza. Improvvisamente Ajahn Chah tossì in modo violento e – secondo i racconti – un consistente grumo di muco, attraversando la stanza, passò attraverso i due monaci ed andò a schioccare sul muro proprio accanto a loro. L’insegnamento era stato debitamente impartito e la discussione si concluse in modo brusco e imbarazzato.
Durante il decorso della malattia, la vita dei monasteri continuò come prima. Il fatto che il Maestro ci fosse e al tempo stesso non ci fosse contribuì in un modo strano nell’aiutare la comunità ad adattarsi a prendere decisioni collegiali e a concepire la vita monastica senza che l’amato insegnante fosse al centro di tutto. Dopo la morte di un così grande anziano, non è inusuale che le cose si dissolvano rapidamente e che i discepoli vadano ognuno per la propria strada, così che l’eredità del maestro svanisca nel corso di una o due generazioni. È forse una testimonianza di quanto Ajahn Chah abbia ben addestrato le persone ad essere autosufficienti il fatto che, quando egli si ammalò, erano circa 75 i monasteri affiliati e, in corrispondenza del suo decesso, essi crebbero a più di 100, mentre ora sono aumentati a più di 300 in Thailandia e in tutto il mondo.
Dopo la sua scomparsa nel 1992, la sua comunità monastica organizzò il funerale. Conservando lo spirito della sua vita e del suo insegnamento, questo evento non fu solo una cerimonia, ma anche un’occasione per ascoltare e per praticare il Dhamma. Durò dieci giorni e più, con numerosi periodi di meditazione di gruppo e discorsi quotidiani d’istruzione, tenuti da molti dei più esperti e realizzati insegnanti di Dhamma thailandesi.
Circa 6.000 monaci, 1.000 monache e più di 10.000 laici si accamparono nella foresta per tutto l’evento. Oltre a costoro, circa un milione di persone giunse nel monastero nel periodo durante il quale si svolse la pratica; in 400.000, compresi il re e la regina e il primo ministro della Thailandia, vennero nel giorno della sua cremazione.
Nello spirito dei principi esposti da Ajahn Chah nel corso di tutta la sua attività di insegnamento, per tutto questo tempo non venne richiesto un solo centesimo: il cibo fu gratuitamente offerto a tutti grazie a 42 cucine, gestite ed approvvigionate da molti dei monasteri affiliati; furono regalati libri di Dhamma per un valore superiore a 200.000 euro; una ditta del posto distribuì tonnellate di acqua imbottigliata e i proprietari delle compagnie locali di autobus e di autotrasporti si incaricarono di portare ogni mattina i monaci a chiedere l’elemosina nei villaggi e nelle città delle vicinanze. Fu una grande festa della generosità e un modo appropriato per dire addio a un grand’uomo.
Le quattro righe che si trovano all’inizio di questo libro,
quelle sul tuono e la pioggia,
rappresentano al completo la “biografia spirituale”
che Ajahn Chah scrisse per le autorità ecclesiastiche,
quando esse esercitarono ripetute pressioni
affinché egli ne fornisse una per il titolo onorario di cui
il re della Thailandia voleva insignirlo.
INDICE
- Le cose essenziali: visione, insegnamento e pratica
- Le Quattro Nobili Verità
- La legge del Kamma
- Tutto è incerto
- Scelta espressiva: “si” o “no”
- L’enfasi sulla Retta Visione e sulla Virtù
- Metodi di addestramento
- Insegnare ai laici, insegnare ai monaci
- Contrastare la superstizione
- Umorismo
- Gli ultimi anni