Recensione del libro L’Abhidhamma nella vita quotidiana, scaricabile gratuitamente a questo indirizzo
Recensione di Antonella Comba
Quando si pratica il Dhamma, ci si accorge ben presto che per approfondire ciò che si fa è molto utile l’ascolto di insegnamenti e lo studio dei testi (pariyatti): insieme alla pratica delle istruzioni (paṭipatti) essi fanno giungere alla penetrazione del senso degli insegnamenti e alla loro realizzazione nella vita quotidiana (paṭivedha). L’Abhidhamma-piṭaka è un testo che non è insegnato molto spesso in Occidente, perché richiede un particolare sforzo per essere compreso e messo in pratica; pur tuttavia esso costituisce la terza sezione del Tipiṭaka o Canone buddhista in pāli. La tradizione lo attribuisce a Sāriputta, che avrebbe ricevuto in proposito un insegnamento dal Buddha. È interessante notare come i tre canestri (Piṭaka) del Canone usino un linguaggio diverso: il primo, il Vinaya, è in apparenza il più semplice e diretto, ma descrive le sottigliezze della regola monastica con un linguaggio tecnico che ne fa uno dei più antichi trattati di giurisprudenza della storia umana (almeno in questa èra cosmica); il secondo, che contiene i Sutta o discorsi del Buddha, è apparentemente discorsivo e ripetitivo ma in realtà ornato con figure retoriche, aneddoti, situazioni a volte quasi comiche, a volte persino drammatiche della vita del Buddha. Il terzo è un lungo elenco di brevi domande e risposte, sinonimi, nozioni slegate da qualsiasi contesto narrativo, di per sé incomprensibile. Ci sono commenti all’Abhidhamma che chiariscono il testo, ma in genere non sono tradotti in lingue occidentali e presuppongono tutti la lettura del Visuddhimagga di Buddhaghosa (V sec. d. C.), in particolare del terzo volume sulla saggezza. Anche questo trattato tuttavia non è sempre di facile comprensione. Si fa ricorso allora all’Abhidhammattha-saṅgaha di Anuruddha, che è il manuale studiato dai monaci asiatici (in particolare birmani). Il manuale però richiede un metodo di studio asiatico, cioè la memorizzazione del testo come preliminare alla sua comprensione.
Come fare allora per capire l’Abhidhamma? Ci viene incontro questo volumetto scritto da Nina van Gorkom con un’intuizione intelligente: alternare parti che espongono le nozioni fondamentali dell’Abhidhamma con citazioni dal Sutta-piṭaka. In questo modo in mezzo alla foresta dei concetti abhidhammici si apre una radura di poesia dove possiamo rilassarci e apprezzare l’incredibile profondità degli insegnamenti del Buddha, comunque siano esposti.
Prendiamo fiato e torniamo ad addentrarci nel bosco. Qui impariamo a distinguere i dhamma, di solito tradotti con “fenomeni” (ma l’Autrice preferisce chiamarli “realtà” al plurale), le cose così come sono e come ci appaiono. Ogni dhamma può avere parecchie funzioni e ricevere un nome che indichi queste funzioni: per esempio, un nostro istante di coscienza può essere salutare o non salutare, può essere effetto di un precedente fenomeno salutare o non salutare, oppure può essere neutro, “funzionale”. Poco alla volta questa sottile analisi indebolisce la credenza in un sé e aumenta la nostra capacità di notare quando in noi sorgono stati salutari o non salutari. Questo è senz’altro utile: è un grande aiuto alla pratica del Nobile Ottuplice Sentiero. In questo modo riusciamo a vedere come l’Abhidhamma non rimanga una conoscenza intellettuale, ma cambi concretamente la nostra visione della realtà e di conseguenza tutta la nostra vita.