Un’introduzione alla vita e agli insegnamenti di Ajahn Chah
di Ajahn Amaro
La Tradizione della Foresta
In relazione alla meditazione, la Tradizione della Foresta è in un certo qual senso addirittura precedente al Buddha. Prima dei suoi tempi, in India e nella regione dell’Himalaya, non era inconsueto per coloro che cercavano la liberazione spirituale abbandonare la vita delle città e dei villaggi, per recarsi nella natura incontaminata di montagne e foreste. In quanto gesto per lasciarsi alle spalle i valori del mondo, ciò recava in sé un senso perfettamente compiuto: la foresta era un posto selvaggio e naturale, e lì si potevano incontrare solo criminali, folli, emarginati e rinuncianti sulla via della spiritualità. Si trattava d’un ambito estraneo all’influsso delle regole culturali materialistiche, quindi ideale alla coltivazione degli aspetti spirituali che le trascendevano.
Quando all’età di 29 anni il Bodhisatta abbandonò la vita del palazzo, lo fece per trasferirsi nella foresta ed addestrarsi nelle discipline yoga praticate in quel tempo. La storia di come egli, insoddisfatto dagli insegnamenti dei suoi primi istruttori, li lasciò per cercare la sua propria strada per la liberazione è nota. Vi riuscì, scoprendo all’ombra dell’albero della bodhi, sulla riva del fiume Nerañjara, nel luogo ora chiamato Bodh-Gaya nello stato del Bihar in India, quel primario fondamento della Verità che chiamò “la Via di Mezzo”.
Spesso si afferma che il Buddha nacque in una foresta, ottenne l’illuminazione in una foresta, visse ed insegnò per tutta la sua vita in una foresta e, infine, morì in una foresta. Quando gli era possibile scegliere, era l’ambiente che preferiva perché, come Egli diceva: «i Tathāgata provano diletto nei luoghi isolati». Il lignaggio ora conosciuto come la Tradizione Thailandese della Foresta cerca di vivere nello spirito della via abbracciata dal Buddha stesso, e di praticare in accordo con gli stessi criteri da lui incoraggiati durante la sua vita. Si tratta di un ramo della Scuola Meridionale del Buddhismo, più comunemente denominato come “Theravāda”.
Secondo quanto ci dicono le approssimative narrazioni storiche, pochi mesi dopo la morte del Buddha fu tenuto un grande concilio di anziani per stabilire e formalizzare gli Insegnamenti – i discorsi e le regole monastiche – in una vernacolare forma standardizzata detta pālibhasa, “il linguaggio dei testi”. Gli insegnamenti di Dhamma formulati in tal modo durante il secolo successivo formano il nucleo del Canone pāli, la base comune per varie scuole buddhiste successive. Cento anni dopo fu tenuto un secondo concilio che, per tentare di mettere tutti d’accordo, tornò nuovamente su tutti gli insegnamenti.
Ovviamente fu proprio allora che, come si è scoperto, avvenne il più rilevante scisma nel Sangha. La maggioranza volle modificare alcune delle regole, anche permettendo ai monaci di usare il denaro. In relazione ai cambiamenti proposti, un piccolo gruppo fu cauto e pensò: «Bene, che abbia senso o meno, vogliamo fare le cose nel modo in cui le fecero il Buddha e i suoi primi discepoli». I suoi membri sono conosciuti in sanscrito come sthavira e in pāli come thera, “anziani”. Dopo centotrenta anni circa, diedero origine alla Scuola Theravāda. “Theravāda”, che significa letteralmente “la Via degli Anziani”, da allora ha proprio questo argomento costante. L’etica della tradizione può essere caratterizzata con una frase del tipo: «Nel bene e nel male, questa è la via fissata dal Buddha, e così noi faremo». Da sempre è presente, perciò, un tratto particolarmente “conservatore”.
Come è avvenuto per tutte le tradizioni religiose e le istituzioni dell’uomo, col trascorrere del tempo numerosi furono i rami che germogliarono dalla radice del Buddha. È stato detto che circa 250 anni dopo di Lui, durante l’impero di Asoka, vi furono fino a diciotto scuole e lignaggi in India e forse più, con divergenti modi di vedere il Buddha-sāsana, la dottrina del Buddha. Un lignaggio si stabilì nello Sri Lanka, ad una certa distanza dal fermento culturale dell’India, dove giungevano influssi religiosi dall’Occidente e dall’Oriente e andava contestualmente verificandosi un risveglio del brahmanesimo che si aggiungeva all’agitarsi di nuove forme del pensiero buddhista. Tale lignaggio si sviluppò per conto proprio, e fu meno soggetto ad influssi e stimoli. Formulò i propri commenti ed interpretazioni delle Scritture in pāli senza l’intenzione di sviluppare nuove forme che rispecchiassero sollecitazioni provenienti da altre fedi, ma con lo scopo di aggiungere alcuni dettagli ai testi in pāli. Alcuni di essi avevano caratteristiche fiabesche, miranti a catturare il cuore della gente comune, altri erano più filosofici e metafisici, di genere erudito.
Nonostante tutto questo, anche il buddhismo theravāda si cristallizzò. Nonostante guerre, carestie ed altri rivolgimenti culturali del subcontinente indiano, i Theravādin sono sopravvissuti fino ai nostri giorni, soprattutto perché si consolidarono originariamente nell’isola di Sri Lanka, un rifugio più sicuro di molti altri. Anche altre furono le scuole buddhiste che qui operarono, ma il buddhismo theravāda fu continuamente rigenerato e conservato quale principale religione dell’isola.
Questo lignaggio infine si diffuse in tempi differenti in tutto il sud-est asiatico, allorché furono invitati missionari dallo Sri Lanka e dall’India; raggiunse la Birmania e in seguito la Thailandia, la Cambogia e il Laos e, da ultimo, arrivò da tali territori in Occidente. Durante questa diffusione geografica della tradizione theravāda, si continuò a guardare indietro al Canone pāli come normativo. Quando il lignaggio si stabilì in nuovi paesi, vi fu sempre un forte senso di deferenza e venerazione per gli insegnamenti originali, come pure rispetto per lo stile di vita incarnato dal Buddha e dal Sangha originario, i monaci dei primi tempi che dimoravano nella foresta.
Questo modello, utilizzato in quegli anni e da allora in poi impiegato per così tanti secoli, ebbe ovviamente un gran numero di momenti sia propizi che sfavorevoli. Talora la religione si affievolì nello Sri Lanka ed allora, per rivitalizzarla, vi arrivarono monaci dalla Thailandia. Quando poi ebbe la tendenza a smorzarsi in quest’ultimo territorio, furono monaci provenienti dalla Birmania a rafforzarla. I seguaci theravāda si supportarono vicendevolmente nei secoli e, così, questa tradizione riuscì a mantenersi a galla per larga misura nella sua forma originale.
Assieme alla degenerazione, un altro aspetto problematico di questi cicli fu quello del successo. Quando la religione si sviluppò bene, spesso i monasteri si arricchirono e l’intero sistema si corruppe, divenne obeso e iniziò a collassare sotto il suo stesso peso. Allora, si verificava la scissione di un gruppo che – affermando: «Torniamo alle cose essenziali» – si allontanava nella foresta e tornava di nuovo ai modelli originari, mantenendo i precetti monastici, praticando la meditazione e studiando gli insegnamenti originali.
È significativo notare che questo ciclo di progresso, enfiagione, corruzione e riforma, si verificò numerose volte nel corso dei secoli in molte altre nazioni buddhiste. È impressionante quanto le vite e la pratica di luminari quali il venerabile Patrul Rimpoche nel Tibet e il venerabile maestro Xu Yun in Cina – entrambi della fine del XIX e degli inizi del XX secolo – siano in completo accordo con lo spirito della Tradizione della Foresta. Entrambi scelsero di vivere in grande semplicità, osservarono la disciplina monastica molto rigorosamente, furono esperti meditanti e maestri molto dotati. Evitarono in larga misura gli oneri gerarchici e responsabilità ufficiali, ma inevitabilmente ascesero a posizioni di grande influenza mediante il potere puro della saggezza e della virtù. Questo è esattamente il modello di vita incarnato anche dai grandi Ajahn thailandesi della foresta.
Intorno alla metà del XIX secolo, il buddhismo in Thailandia era caratterizzato da una ricca varietà di pratiche e tradizioni regionali, ma lo standard generale della vita spirituale si era in certo qual modo corrotto, la disciplina monastica si era rilassata e gli insegnamenti di Dhamma erano fusi con caotici elementi tantrici e animistici, senza contare il fatto che quasi nessuno praticava più la meditazione. Inoltre – e forse proprio questo è la cosa più importante – la posizione ortodossa e rappresentata da studiosi e non solo da monaci negligenti, poco colti o confusi, affermava che non era possibile ai nostri giorni realizzare il Nibbāna e nemmeno conseguire i jhāna, i vari livelli di assorbimento meditativo. I rianimatori della Tradizione della Foresta rifiutavano di accettarlo. Era anche una della ragioni per cui essi erano considerati dalla gerarchia ecclesiastica di quegli anni alla stregua di dissidenti e piantagrane, mentre molti di loro, compreso Ajahn Chah, erano ovviamente disprezzati – lo era anche il loro ritornello «non otterrai la saggezza dai libri» – dalla maggior parte dei monaci eruditi del loro stesso lignaggio theravāda.
È necessario precisare questo punto, per evitare che induca perplessità il fatto che Ajahn Chah possa aver avuto un’attitudine tanto negativa per lo studio, soprattutto perché, in quanto appartenente alla tradizione theraravāda, si suppone che egli dovesse invece nutrire grande venerazione per la parola del Buddha. È in questione un motivo cruciale, che caratterizza i monaci appartenenti alla Tradizione della Foresta: la determinazione a focalizzare l’attenzione sullo stile di vita e sull’esperienza personale, contro i libri e soprattutto contro i Commenti al Canone pāli. Si potrebbe pensare che una tale attitudine possa essere presuntuosa e arrogante, o un’espressione di gelosia d’una mente poco colta per altre migliori: ciò non avviene se si comprende che proprio le interpretazioni degli studiosi stavano trascinando il buddhismo in un abisso. In poche parole, era proprio il tipo di situazione a rendere il panorama spirituale maturo per il rinnovamento: fu da questo fertile terreno che emerse la rinascita della Tradizione della Foresta.
La Tradizione Thailandese della Foresta non sarebbe così com’è oggi se non vi fosse stato l’influsso di un grande maestro in particolare. Si tratta del Venerabile Ajahn Mun* Bhuridatta. Nacque nel 1870 nella provincia di Ubon, dove la Thailandia s’incontra con il Laos e la Cambogia. Allora era, e lo è ancora, una delle zone più povere del paese, ma pure quella in cui la durezza della terra e il carattere affabile delle persone hanno indotto una spiritualità di rara profondità nel mondo.
Ajahn Mun era un giovane di mente vivace. Eccelleva nel mor lam, l’arte locale di comporre canzoni popolari in versi ed era anche fortemente attratto dalla pratica spirituale. Subito dopo l’ordinazione a bhikkhu, cercò il Venerabile Ajahn Sao, uno dei rari monaci della foresta del luogo, e gli chiese di insegnargli la meditazione. Si era pure reso conto del fatto che una rigorosa adesione alla disciplina monastica sarebbe stata fondamentale per i suoi progressi spirituali. Divenne discepolo di Ajahn Sao e si dedicò alla pratica con grande vigore.
Se oggi, dal nostro punto di vista, entrambi tali elementi – disciplina rigorosa e meditazione – potrebbero sembrare scontati, allora la disciplina era diventata piuttosto trasandata in tutta la regione e la meditazione era considerata con grande sospetto. Probabilmente, solo coloro che erano interessati alla magia nera erano folli a sufficienza per avvicinarsi alla meditazione, e si riteneva probabile che essa conducesse alla pazzia o causasse possessioni spiritiche.
Col tempo Ajahn Mun riuscì a spiegare con successo e a dimostrare l’utilità della meditazione a molte persone, e divenne anche un esempio di un più alto standard di vita per la comunità monastica. Inoltre, a dispetto del fatto che vivesse in luoghi remoti, egli divenne il più considerato maestro spirituale della Thailandia. Quasi tutti i più esperti e venerati maestri di meditazione thailandesi del XX secolo furono o suoi diretti discepoli o ne subirono profondamente l’influsso. Tra essi, Ajahn Chah.
Note
* Nella traduzione si è scelto di lasciare “Mun”, come di solito si rinviene nei testi inglesi. Si avverte il lettore italiano che, però, l’esatta pronuncia thailandese è “Màn”.
INDICE
- La Tradizione della Foresta
- Le cose essenziali: visione, insegnamento e pratica
- Le Quattro Nobili Verità
- La legge del Kamma
- Tutto è incerto
- Scelta espressiva: “si” o “no”
- L’enfasi sulla Retta Visione e sulla Virtù
- Metodi di addestramento
- Insegnare ai laici, insegnare ai monaci
- Contrastare la superstizione
- Umorismo