di Giuliano Giustarini
Mahidol University, International PhD Programme in Buddhist Studies
Faculty of Social Science and Humanities – Department of Humanities
Salaya Campus Nakhorn Pathom – 73170 Thailand
Note introduttive
Quella che chiamiamo lingua pali viene considerata tradizionalmente come il (o la) māgadhī, ovvero la lingua della regione del Magadha parlata dal Buddha. La maggior parte degli studiosi oggi ritiene che non sia così, ma che si tratti semplicemente di una delle lingue in cui è stato redatto e codificato il canone buddhista, una lingua che probabilmente deriva dall’India del nord e che conserverebbe alcuni tratti māgadhī, i cosiddetti magadhismi. La parola pali di per sé significa semplicemente “canone”, e se ora la usiamo per indicare il nome di una lingua è per un malinteso. Infatti, quando in Sri Lanka si decise di redarre e sistematizzare una collezione di commentari allora conosciuti (forse revisionando e organizzando commentari già scritti, come gli stessi commentatori affermano), si ricorse alla “lingua del canone” (pāli-bhāsa); una lettura poco attenta di queste ricorrenze originò l’equivoco che pali fosse il nome della lingua invece che un termine per indicare il canone.
1. Cf. Gethin 1998: 41 e Norman 1983: 1.
In che lingua insegnò il Buddha?
“La lingua originale del pensiero buddhista è problematica. Non era il sanscrito (antico indo-ario) ma un dialetto medio indo-ario, parente stretto del sanscrito e simile al pali, la lingua canonica del buddhismo dello Sri Lanka e del sud-est asiatico. Mano a mano che il buddhismo si sviluppò nell’India, adottò sempre di più la lingua universale dell’antica cultura indiana, il sanscrito. In seguito i testi buddhisti furono tradotti in cinese e in tibetano, che divennero di diritto importanti lingue buddhiste”.
Gethin 1998: x
Sempre Gethin, tuttavia, ricorda che il pali rivela elementi di pracrito dell’India occidentale, che difficilmente poteva essere parlato al Concilio di Vaiśāli; ci sarebbe quindi almeno un grado di distanza tra un’ideale forma originaria degli insegnamenti del Buddha e la redazione del Canone pali (Gethin 2012).
Perché studiare il pali?
Una motivazione piuttosto diffusa per studiare il pali può consistere nell’intenzione di leggere, comprendere, studiare i testi buddhisti conservati nella tradizione pali, o Theravāda. L’importanza di comprendere in dettaglio e alla lettera gli insegnamenti è sottolineata in molti passi canonici. Nel seguente, questa è incastonata nel processo graduale che conduce alla liberazione:
nāhaṃ bhikkhave ādikeneva aññārādhanaṃ vadāmi. api ca bhikkhave anupubbasikkhā anupubbakiriyā anupubbapaṭipadā aññārādhanā hoti. kathañca bhikkhave anupubbasikkhā anupubbakiriyā anupubbapaṭipadā aññārādhanā hoti? idha bhikkhave saddhājāto upasaṅkamati, upasaṅkamanto payirupāsati, payirupāsanto sotaṃ odahati, ohitasoto dhammaṃ suṇāti, sutvā dhammaṃ dhāreti, dhatānaṃ dhammānaṃ atthaṃ upaparikkhati, atthaṃ upaparikkhato dhammā nijjhānaṃ khamanti, dhammanijjhānakkhantiyā sati chando jāyati, chandajāto ussahati, ussahitvā tuleti, tulayitvā padahati, pahitatto samāno kāyena ceva paramaṃ saccaṃ sacchikaroti, paññāya ca naṃ aṭivijjha passati.
Kitagīrisutta M 70, CST4 II.183, PTS I.479-480
“O monaci, io non proclamo che il conseguimento della conoscenza avviene subito dal principio. Invece, il conseguimento della conoscenza è un tirocinio graduale, una pratica graduale, un sentiero graduale. E come, o monaci, il conseguimento della conoscenza è un tirocinio graduale, una pratica graduale, un sentiero graduale? Riguardo a questo, o monaci, una persona dotata di fede va a trovare [un insegnante], quindi gli si siede accanto, sedutasi accanto gli presta ascolto, quindi ascolta il Dhamma, avendo ascoltato il Dhamma lo tiene a mente, quindi esamina il significato degli insegnamenti che tiene a mente, si apre alla meditazione sugli insegnamenti, e quando è presente l’apertura alla meditazione sugli insegnamenti sorge l’aspirazione, e questa persona dotata di aspirazione si applica, una volta che si è applicata valuta, avendo valutato si sforza, sforzandosi tocca con mano la verità ultima, e la vede penetrandola con la comprensione profonda”.
Nell’Adhikaraṇavagga (A CST4 II.20-21, PTS I.58-59) si sottolinea come l’attenzione ai testi, nelle lettera e nello spirito, guidi a un’interpretazione corretta dei loro contenuti e in ultima analisi alla conservazione della tradizione del Dhamma:
dveme, bhikkhave, dhammā saddhammassa sammosāya antaradhānāya saṃvattanti. katame dve? dunnikkhittañca padabyañjanaṃ attho ca dunnīto. dunnikkhittassa, bhikkhave, padabyañjanassa atthopi dunnayo hoti. Ime kho, bhikkhave, dve dhammā saddhammassa sammosāya antaradhānāya saṃvattantīti. dveme, bhikkhave, dhammā saddhammassa ṭhitiyā asammosāya anantaradhānāya saṃvattanti. katame dve? sunikkhittañca padabyañjanaṃ attho ca sunīto. sunikkhittassa, bhikkhave, padabyañjanassa atthopi sunayo hoti. Ime kho, bhikkhave, dve dhammā saddhammassa ṭhitiyā asammosāya anantaradhānāya saṃvattantīti.
“O monaci, questi due fattori conducono all’oblio e alla scomparsa del vero Dhamma. E quali sono questi due fattori? Le parole e le lettere disposte (letteralmente “messe giù”) erroneamente, e il significato male interpretato. Questi, invero, o monaci, sono i due fattori che conducono all’oblio e alla scomparsa del vero Dhamma. Questi due fattori, o monaci, conducono alla stabilità, al non oblio e alla non scomparsa del vero Dhamma. E quali sono questi due fattori? Le parole e le lettere messe giù correttamente, e il significato bene interpretato. Questi, invero, o monaci, sono i due fattori che conducono alla stabilità, al non oblio e alla non scomparsa del vero Dhamma”.
La relazione del praticante con l’apprendimento dettagliato degli insegnamenti è enfatizzata da termini come bahussuta (colui che ha molto udito, ascoltato), sutavant (colui che ascolta), sāvaka (discepolo, uditore), dhammassavana (ascolto del Dhamma).
Ciò testimonia come i testi fornissero delle istruzioni per la loro lettura che coniugassero la conoscenza degli insegnamenti stessi (pariyatti), la loro messa in pratica (paṭipatti), e la loro penetrazione e realizzazione completa nella liberazione (paṭivedha).
La tradizione Theravāda conserverebbe gli insegnamenti originali del Buddha (il canone pali rappresenta la collezione canonica più vasta in lingua indica) insieme a una grande varietà di letteratura esegetica. Alla fonte di tutta questa letteratura c’è il Tipiṭaka (Triplice Canestro), ovvero le tre raccolte radice: Sutta (i discorsi), Vinaya (la disciplina), e Abhidhamma (gli insegnamenti ulteriori).
Prospetto del canone pali
Nello studiare il pali (e in generale una lingua) occorre tenere a mente il meccanismo di relazione che la sottende: relazione tra lettere, parole, locuzioni, frasi, periodi, paragrafi, versi, aforismi, formule standard, e testi vieppiù complessi: una lingua (e così una letteratura) non potrebbe funzionare senza un intricato, talvolta sottile, gioco di rimandi semantici. Questo perché la lingua, essendo uno strumento del conoscere, si deve in qualche modo rifare a quello che già conosciamo, fosse anche per negarlo e alludere a significati ancora ignoti.
In questo senso, ciascun testo della tradizione buddhista pali presenta nel suo intero una sua struttura lessicale specifica, a sua volta composta di altre strutture che apparentemente possono funzionare da sole, ma che mostrano ulteriori sfumature se osservate nel loro insieme.
akkharā padāni ca māgadhabhāsāya
lettere e parole della lingua pali (māgadhī)
attho akkharasaññāto
il significato [deriva] dalla conoscenza delle lettere
Alfabeto
sara [vocali]
a ā i ī u ū e o
a, i, u sono brevi (rassa)
ā, ī, ū, e, o sono lunghe (dīgha)
vyañjana (consonanti)
kaṇṭhaja (consonanti prodotte dalla gola)
ka kā ki kī ku kū ke ko
kha khā khi khī khu khū khe kho
ga gā gi gī gu gū ge go
gha ghā ghi ghī ghu ghū ghe gho
ṅa ṅā ṅi ṅī ṅu ṅū ṅe ṅo
tāluja (consonanti prodotte dall’aderenza della lingua sul palato)
ca cā ci cī cu cū ce co
cha chā chi chī chu chū che cho
ja jā ji jī ju jū je jo
jha jhā jhi jhī jhu jhū jhe jho
ña ñā ñi ñī ñu ñū ñe ño
muḍḍhaja (prodotte dallo spingere la lingua verso l’alto, verso la testa)
ṭa ṭā ṭi ṭī ṭu ṭū ṭe ṭo
ṭha ṭhā ṭhi ṭhī ṭhu ṭhū ṭhe ṭho
ḍa ḍā ḍi ḍī ḍu ḍū ḍe ḍo
ḍha ḍhā ḍhi ḍhī ḍhu ḍhū ḍhe ḍho
ṇa ṇā ṇi nī ṇu ṇū ṇe ṇo
dantaja (consonanti prodotte dal tocco della lingua sui denti)
ta tā ti tī tu tū te to
tha thā thi thī thu thū the tho
da dā di dī du dū de do
dha dhā dhi dhī dhu dhū dhe dho
na nā ni nī nu nū ne no
oṭṭhaja (consonanti prodotte dal toccarsi delle labbra)
pa pā pi pī pu pū pe po
pha phā phi phī phu phū phe pho
ba bā bi bī bu bū be bo
bha bhā bhi bhī bhu bhū bhe bho
ma mā mi mī mu mū me mo
antaṭṭha (consonanti semi-vocali)
ya yā yi yī yu yū ye yo
ra rā ri rī ru rū re ro
la lā li lī lu lū le lo
va vā vi vī vu vū ve vo
sakāra – hakāra (sibile e aspirate)
sa sā si sī su sū se so
ha hā hi hī hu hū he ho
Alfabeto pali completo
a ā i ī u ū e o ka kha ga gha ṅa ca cha ja jha ña ṭa ṭha ḍa ḍha ṇa ta tha da dha na pa pha ba bha ma ya ra la va sa ha ḷa aṃ