Dobbiamo conoscere noi stessi – anche in termini della nostra pratica verso la comprensione del Dhamma. Lo stesso Buddha non aveva discepoli solo totalmente perfetti. Anche lui dovette lavorare molto per migliorarli e correggerli, trasmettere loro la conoscenza e fargli acquisire nuove abitudini, sino a quando non raggiunsero la perfezione. Prima che queste nuove abitudini fossero veramente utili e di beneficio ci volle molto tempo.
Con noi stessi è esattamente uguale. Basta pensare al fatto che in passato non abbiamo mai realmente prestato attenzione all’universo della nostra mente. Tutto ciò che abbiamo fatto è stato di vedere le cose in funzione dei nostri desideri. Ciò che chiamavamo buono era semplicemente ciò che gratificava le nostre aspettative ed i nostri desideri. Quando iniziamo a vedere il mondo da una prospettiva che prenda in considerazione i nostri veri sentimenti, potremmo esserne sbalorditi e realizzare finalmente che dobbiamo migliorare in diversi modi. Per esempio quando proviamo delle emozioni spiacevoli che hanno degli effetti negativi su di noi, dobbiamo trovare i modi, le maniere per farli cessare.
Se arriviamo al punto di poter fermare gli stati mentali negativi, abbiamo realmente ottenuto qualcosa di grande beneficio. Poco a poco acquisiamo più conoscenza e comprensione che possiamo applicare. Se nascono sensazioni di felicità o di tristezza, non sentiamo il bisogno di esprimerle fino al punto di perderci in esse e sperimentare dukkha.