Se suddividiamo i dhamma (qualità o fattori) che conducono al risveglio (bodhipakkhiyā dhammā) come viene solitamente fatto nelle scritture buddhiste, essi comprendono: i quattro tipi di retto sforzo, i quattro fondamenti della presenza mentale, le quattro basi del potere psichico, le cinque facoltà spirituali, i cinque poteri, i sette fattori del risveglio ed il nobile ottuplice sentiero.
Se si volesse riassumere tutti questi fattori in uno solo, sarebbe sicuramente il fattore della presenza mentale.
Ognuno di noi, in un modo o nell’altro, è già equipaggiato con i quattro fondamenti della presenza mentale – il corpo, le sensazioni, la mente e i dhamma. Abbiamo per certo un corpo e abbiamo delle sensazioni, che siano sensazioni di felicità o sofferenza, apprezzamento o avversione. La nostra memoria e la nostra consapevolezza sono adeguate. Sperimentiamo i saṅkhāra, le proliferazioni della mente, sia che siano buone o cattive qualità, e possediamo la coscienza (viññāṇa), la facoltà di ricevere informazioni dagli organi sensoriali. Abbiamo così solo veramente bisogno di mettere in pratica questi insegnamenti sulla presenza mentale.
La presenza mentale dovrebbe essere attivata in tutte le situazioni della nostra vita nel momento stesso in cui le viviamo. E’ per questo che il Buddha ci ha insegnato a condurre le nostre vite con consapevolezza e chiara comprensione, concentrati, osservando ed indagando.
Ciò che dobbiamo fare come prima cosa è cercare di fissare le nostre menti nel momento presente, senza preoccuparci del futuro e del passato, facendo emergere il presente nelle nostre menti, stabilizzandoci in questo luogo di totale perfezione. Il momento presente è sia la causa sia il risultato, poiché è nel momento presente che creiamo cause e condizioni, buone o cattive, per il futuro. Per questo motivo il Buddha ha insegnato che dobbiamo condurre le nostre vite in un modo coscienzioso ed attento.
Quindi, questi dhamma che conducono al risveglio sono qualcosa che già possediamo. Ritrovandoci insieme e sostenendoci nella pratica, specialmente vivendo in un posto come questo monastero, non dobbiamo sperimentare la vita nel mondo esterno con tutto il caos e le difficoltà della società.
Tutto ciò che ci rimane da fare è studiare noi stessi, osservare noi stessi in modo più attento e circospetto. L’applicazione dell’attenzione e della ponderazione darà luogo alla retta visione (sammā diṭṭhi). La retta visione equivale alla pace.
Che cosa si vede quando si ha la retta visione? Si vede dukkha come qualcosa che dovrebbe essere conosciuto, si vedono le cause di dukkha come qualcosa da abbandonare, si vede la cessazione – anicca, dukkha, anattā * – come qualcosa da realizzare, e ci si rapporta alla vita in modo composto e sobrio. Queste sono le Quattro Nobili Verità: dukkha, la sua origine, la sua cessazione ed il sentiero. Vivere la propria vita in accordo con queste verità, si può dire sia bodhipakkhiyā dhammā, il Dhamma che porta al risveglio. La retta visione porta verso la chiara comprensione, la pace e la quiete. Conduce alla purezza della mente.
Questi dhamma sono qualità che è giusto sviluppare e farne un buon uso. Chiunque può fare questo se si impegna, ci metta il cuore, gli dia importanza, non smetta e non si arrenda. Questo è ciò che viene chiamato camminare incessantemente sino a quando non si raggiunge l’obiettivo alla fine del sentiero, sino a quando non si realizza.
«Viriyena dukkham accenti»
(Dukkha può essere vinto attraverso l’impegno)
Questa è un’affermazione molto chiara del Buddha quindi dovremmo praticare e comportarci di conseguenza.
Non bisogna cadere sotto l’influenza degli impedimenti della pigrizia o della trascuratezza. La pigrizia e la trascuratezza ci indeboliscono, ci assorbono la forza e ci fanno addormentare. Ciò di cui abbiamo bisogno è risolutezza. Avete mai sentito la risoluzione ultima del Buddha prima del suo Risveglio?
«Che possano rimanere solo la mia pelle, i miei legamenti, le mie ossa, e che la carne ed il sangue nel corpo possano prosciugarsi, ma io non mi alzerò e non rilasserò la mia energia, né smetterò di impegnarmi sino a quando non otterrò il Risveglio».
Questo voto del Buddha ci dimostra che egli aveva una forte e risoluta determinazione. Egli era veramente una persona nobile. Lo potremmo chiamare l’essere ideale, perfetto, anche un “eroe”, un uomo con un’incredibile, imparagonabile stabilità della mente. Egli non pensò «non posso fare questo», perché il Dhamma è qualcosa che gli esseri umani sono in grado di portare avanti e mettere in pratica. Noi tutti siamo esseri umani, quindi questo dovrebbe essere sufficiente per farci capire che deve esserci almeno un modo per far sorgere ciò che è veramente benefico.
* Queste sono le tre caratteristiche dell’esistenza: l’impermanenza, l’insoddisfazione e il non sé.