Che a volte si sia scontenti quando ci confrontiamo con la società, è dovuto al contatto con i dhamma (fenomeni) mondani, con la paura ed il timore che derivano dal rapporto con le altre persone. Se gli altri sono contenti di noi, ci loderanno, se sono scontenti, ci rimprovereranno. Quando ci rimproverano, a volte ci sentiamo insultati e infelici. Ma se invece lo vedessimo sotto la prospettiva della consapevolezza e della saggezza, ci renderemmo conto che coloro che ci rimproverano devono essere in uno stato di sofferenza, non devono sentirsi bene. Dovrebbero essere paragonati alle persone che hanno una malattia, la cui salute si sta deteriorando. Le infermiere ed i dottori che si occupano dei malati sanno benissimo che le persone malate si comportano in modo irritato e scontento. Infermiere e dottori non farebbero caso a tali comportamenti. Lo considererebbero normale per una persona malata.
La nostra situazione è simile. Dovremmo vedere le persone che ci criticano permettendo alla gentilezza amorevole, ai buoni sentimenti, all’amicizia ed alla compassione (mettā e karunā ) di manifestarsi, poiché coloro che criticano sono in uno stato di afflizione nei loro cuori e non conoscono più loro stessi. Se riusciamo a far sorgere una sensazione di mettā non contrattaccheremo ma piuttosto esprimeremo amicizia e supporto. In questo modo diamo la possibilità alle emozioni di calmarsi, diminuire e rappacificarsi.