Possiamo applicare la contemplazione del corpo (kāyagatāsati) in modo da sviluppare una sensazione di separazione (viveka) – separazione che deriva dall’esperienza di non dare per scontato di essere i padroni del nostro corpo. Cerchiamo di vedere il corpo semplicemente come una manifestazione degli elementi ed aggregati (khandā) che esistono in accordo con la natura.
Ciò che siamo – maschi o femmine o qualsiasi altra cosa – si differenzia ed è definito dai nomi e dalle convenzioni della società, ma in essenza, le varie esperienze delle persone sono le stesse. La sofferenza che si prova è uguale per tutti. La felicità o infelicità, la sensazione di soddisfazione o delusione è la stessa. Questo è ciò su cui dobbiamo focalizzarci.
Se ci rendiamo conto che il nostro corpo e quello delle altre persone è sostanzialmente uguale, possiamo provare uno stato mentale che porta a placare i desideri. Alla fine non ci sono differenze tra le persone. Inizieremo a vedere gli altri senza pregiudizi.
Non nascerà la sensazione che qualcuno sia superiore, inferiore o allo stesso livello. Non penseremo neanche di essere meglio o peggio degli altri, e neppure uguali. Mantenendo questo atteggiamento verso noi stessi coltiveremo una consapevolezza che non viene bloccata dall’arroganza o da preconcetti sulla propria importanza.
Questo è il modo in cui pratichiamo kāyagatāsati. Se conseguiamo la separazione, la possiamo chiamare kāyaviveka, separazione del corpo.
Avere un corpo è come avere un oggetto materiale che possiamo usare, come ad esempio la ciotola per la questua dei monaci. La ciotola è semplicemente un contenitore per ricevere il cibo che poi consumiamo durante il pasto. È semplicemente un recipiente. Allo stesso modo, il nostro corpo è solo un mezzo per indagare, per far nascere la comprensione della realtà.