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Vedi anche:
NOVITÀ sulla realizzazione del Tempio
e dal nostro Consulente Finanziario
FINANZIAMENTO DEL TEMPIO
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(vista sull’ingresso principale)
progetto: dido.dolmen e spsk
Roma, giugno 2014. Dopo l’approvazione del progetto da parte del Comune di Poggio Nativo per la sala annessa al monastero abbiamo avuto giorni fa la prima convocazione da parte del Genio Civile di Rieti nei cui uffici sono in osservazione gli elaborati strutturali per la futura Dhamma Sala di Santacittarama. Con la convocazione i tecnici del Genio Civile intendono verificare insieme agli strutturisti le linee guida del progetto previsto in una zona a rischio sismico. Durante l’incontro verranno verificate le modalità di calcolo e concordati eventuali margini di sicurezza. Altri elaborati del progetto sono in attesa di una approvazione di carattere ambientale presso gli Uffici della Regione Lazio. Siamo ormai, nell’attesa di queste autorizzazioni, nel percorso che porterà alla costruzione della nuova Sala di meditazione e dei servizi annessi.
In queste pagine di Saddha proveremo a tracciare le varie fasi di questo percorso, dalle prime idee sulla sala passando per le successive fasi di progetto di massima e quello preliminare, fino ad arrivare all’attuale elaborazione del progetto dettagliato ed esecutivo. L’aggiornamento di questa pagina sarà un modo per tenere un diario con immagini e testi che coprirà il lungo arco di tempo che ha avuto inizio con le prime idee e i primi appunti sullo spazio destinato alla puja e alla meditazione fino al momento in cui le ruspe inizieranno i lavori di cantiere ed oltre.
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Il grande stupa di Sanchi (foto sopra) situato in Madhya Pradesh nel cuore dell’India, fu voluto dal sovrano Asoka il Grande intorno al III sec a.c. per conservare le reliquie del Buddha. In quel periodo l’insegnamento del Tathagata, attraverso l’impegno del Sangha, si stava diffondendo oltre la valle del Gange dove si era formato. Sanchi rimane uno dei più antichi e significativi monumenti del Buddhismo antico. In questa foto dei primi anni ’70 il monumento appare già provato dall’arco di tempo che lo separava dai primi importanti lavori di restauro condotti nei primi decenni del ‘900. Attualmente le opere murarie, le meravigliose porte scolpite, e gli spazi circostanti, dopo un ulteriore attento lavoro di risanamento e conservazione degli ultimi anni, sono tornati di nuovo a risplendere.
Qualche tempo fa, durante uno dei passaggi più delicati del progetto per la nuova sala di Santacittarama, abbiamo voluto stampare questa immagine e conservarla in monastero come protezione e sostegno durante le varie fasi di avanzamento nel progetto confidando che sarebbe stata di buon auspicio per la realizzazione della Sala stessa. Da allora è passato del tempo e il progetto ha avuto una prima approvazione in Comune. I sondaggi geologici dello scorso autunno hanno restituito la stratigrafia del terreno permettendo di progettare il sistema di fondazione del futuro corpo di fabbrica e il progetto sta iniziando a prendere forma. Le grotte di Ajanta (foto sotto), nello stato del Maharashtra, in India, poco più tarde del complesso di Sanchi furono residenza per monaci durante il II sec. a.c. Sanchi e Ajanta rimangono le prime importanti tracce dell’arte legata alla diffusione del Dharma ed entrambi i siti sono oggi riconosciuti dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.
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Come Patrimonio dell’Umanità sono state riconosciute anche le aree storiche delle antiche capitali del Siam, Sukhothai ed Ayutthaya, fondate tra il XII e XIV secolo, e il vasto sito di Angkor in Cambogia che, dal IX al XV secolo, sviluppandosi in un’area molto vasta, è stato il centro dell’Impero Khmer. Di queste capitali, come della birmana Bagan, rimangono le tracce nei numerosi templi e stupa della tradizione Theravada costruiti nell’arco di secoli.
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Sembra che la piana di Angkor, che conserva le tante testimonianze di templi in pietra, sia stata, tra l’XI e il XIII secolo, una delle aree più popolate al mondo. La quantità d’acqua portata dal Mekong alimentava le estese risaie per i numerosi abitanti della regione. Oggi dei tanti insediamenti in legno, canne e foglie che occupavano la vasta piana non è rimasta traccia. I resti in pietra che ora si incontrano, sopravvissuti nel tempo, sono quel che rimane dei centri religiosi della vasta regione. Il complesso di Preah Khan, ad un’ora di cammino da Angkor Wat, ospitava nel XII sec un centro di studi e di pratica per il Sangha. Con la presenza di oltre mille monaci, doveva costituire una vera Università di formazione per i giovani praticanti del sud est dell’Asia.
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Da questo grande patrimonio l’insegnamento del Dhamma ha continuato a vivere e svilupparsi, tramandandosi per secoli. Durante il ‘900 poi, le sfaccettate forme delle varie tradizioni asiatiche hanno iniziato a suscitare l’interesse della cultura occidentale in maniera sempre più capillare. Gli insegnamenti del Buddha stanno trovando nei nostri paesi una crescente accoglienza. Il prezioso incontro tra Ajahn Chah maestro di Dhamma dei monaci della Foresta e Ajahn Sumedho, un americano alla ricerca del percorso di liberazione, ha dato il via alla diffusione della pratica del Dhamma, prima nel Regno Unito e poi in Svizzera, Australia, Nuova Zelanda e USA.
Santacittarama, tra i monasteri della tradizione della Foresta, è l’ultimo nato in Europa. Dopo l’esperienza dei primi anni a Sezze Romano, sembra che l’insediamento in Sabina rappresenti quel seme che sta germogliando e mettendo le radici giuste per il futuro sviluppo di questa tradizione nel nostro Paese.
dai taccuini di viaggio in Thailandia, Cambogia e Laos
I bhikkhu residenti a Sezze si trasferirono a Poggio Nativo nell’autunno del 1997. Naturalmente il nome della comunità di monaci rimaneva quello di Santacittarama. Il lavoro da fare si presentava fin dall’inizio impegnativo. Trovare il giusto modo di riorganizzare gli spazi, occuparsi del giardino e del bosco, riaprire i sentieri chiusi nel tempo, organizzare la cucina e curare l’aspetto dell’accoglienza dei praticanti laici, tutto questo faceva parte del quotidiano. Con la visita di un folto gruppo di Thai dal nord Italia fu allestita in pochi giorni la tenda bianca destinata alla loro accoglienza. La tenda poi è rimasta al suo posto ed ha assolto dignitosamente il suo compito durante le tante ricorrenze di questi anni. Furono allestiti dei bagni, in seguito fu deciso il consolidamento e la ristrutturazione della casa attigua alla residenza monastica diventando kusala, la foresteria per gli uomini. Fu ripristinato il vecchio corpo della stalla, oggi aruna, destinata alla ospitalità per le donne. Fu realizzato il nuovo manto in cemento della stradina di accesso al monastero. Già nel gennaio del 2000, grazie alla generosità e all’impegno di molte persone, fu possibile l’acquisto di nuove particelle di terreno attigue aumentando spazio e percorsi all’interno dell’area. La manutenzione dei sentieri, la potatura regolare del bosco, la regolare bonifica del corso d’acqua Riana, l’accoglienza nei confronti dei praticanti italiani e asiatici, e la loro collaborazione nei lavori quotidiani contribuivano, e continuano tuttora, a fare di Santacittarama il ‘giardino del cuore sereno’. Germogli e radici dei primi anni si erano fatte stabili. Per la Puja era stato destinata, fin dall’inizio, la stanza al piano terra che affaccia sulla veranda che ha svolto pur così piccola, nel corso degli anni, il suo intimo compito anche in momenti di affollamento estremo. Il progetto per una sala più adeguata e spaziosa è stato per certi aspetti un passaggio naturale per il futuro del Sangha. Le prime proposte sulla nuova sala iniziarono a circolare nel lontano 1999. Alcuni anni dopo un modello in scala, in legno, cartone e poliplat è rimasto a lungo come punto di riferimento per la futura sala.
La sala stava prendendo forma. O meglio, stava prendendo forma nella mente delle persone. Si stavano piantando dei semi ai quali si iniziava a prestare tutta l’attenzione affinché, anche in questo caso, germogliassero e mettessero le loro radici. Era chiaro che a Santacittarama, un monastero della tradizione Theravada, una sala per la meditazione spaziosa e confortevole avrebbe reso la vita quotidiana completa nelle sue regole fondative. Il compito era quello di iniziare il percorso, dai primi passi, guardando avanti, cercando di capire come procedere, con fiducia.
Il passaggio ad una sala più adeguata era sentito come ‘naturale’ ma il processo per veder concretizzato questo passaggio, vedremo nel corso di queste mezzelune, non si rivelò proprio così semplice. Per i bhikkhu era auspicabile una sala spaziosa, semplice, fatta di materiali naturali, adeguata ad un clima con inverni rigidi. Uno spazio accogliente per il Sangha. Si cominciò a dare forma e contenuto a questo spazio e a misurarne i dettagli. Nelle campagne del sud est dell’Asia, nei villaggi di collina l’uso del legno è rimasto vivo nel tempo. La dimestichezza nel mettere insieme assi, bamboo, travi, e i sapienti sistemi costruttivi tramandati nei secoli hanno prodotto villaggi con una forte riconoscibilità. Le tradizioni portate dai popoli delle montagne provenienti dalle regioni del Tibet della Cina e dalla Birmania hanno portato poi ad un fertile scambio di idee e soluzioni costruttive.
Del resto anche il modo tradizionale di costruire nelle regioni italiane ha conservato la sua forte identità. L’uso di travi di castagno o di quercia nei tetti dei villaggi o delle case contadine isolate sulle colline del centro Italia è legato ad una conoscenza tramandata per secoli. Nelle travature delle chiese medievali è stata trasmessa quella stessa conoscenza. Molti templi Theravada realizzati durante gli ultimi secoli sono costruiti in muratura e legno e magnificamente decorati con colori vivaci. Si potevano tenere questi come punti fissi per la progettazione.
Ma allo stesso tempo si doveva tener conto di una condizione di carattere urbanistico. Nella porzione di terreno destinata al Dhamma Sala è in atto un vincolo paesaggistico che, per rispetto del corso d’acqua Riana, poco più in basso, prescrive un divieto a costruire entro una fascia di 150 metri dal corso d’acqua. Rispettare questo vincolo obbligava il posizionamento del corpo della nuova sala sulla parte di terreno scoscesa che scende verso nord ovest. Queste erano le premesse per lo sviluppo del progetto e venne deciso di portarlo avanti chiedendo una deroga a quel vincolo che permettesse un posizionamento più comodo.
Un’altra indicazione di cui tener conto era lo spazio necessario alle attività nell’area di Santacittarama. Il bosco e il terreno agricolo annesso alle abitazioni arriva ad una estensione di circa dieci ettari. La stretta relazione tra il Sangha dei bhikkhu e il territorio circostante comporta una costante attenzione nei confronti di quest’ultimo. Come si è già accennato parte del quotidiano dei monaci è a contatto con la natura. Gli anagarika e i samanera, le praticanti e i praticanti laici che si trattengono per brevi o lunghi periodi nel monastero sono chiamati ogni giorno a collaborare alla cura delle varie aree. La pulizia, la piccola manutenzione, le potature stagionali, la coltivazione del giardino, la pulizia della rete di sentieri è occasione di pratica in azione per gli ospiti. La preparazione del cibo comporta la cura della dispensa, il lavoro in cucina e la gestione dei rifiuti. Tutte queste attività richiedono spazi all’interno dei quali si svolge un lavoro quotidiano con regole ed impegni condivisi. Questo lavoro è svolto da chi attende all’abito monastico, da chi risiede a lungo a sostegno dei bhikkhu o da chi è ospite occasionale. Si può immaginare quindi quanto i depositi, i piccoli laboratori, l’attrezzeria, i locali di stoccaggio, insieme a lavanderia asciugatoio e stireria, possano rappresentare una esigenza precisa in una comunità monastica. Citando, qualche riga indietro, gli spazi collegati alle attività dell’area di Santacittarama si fa riferimento proprio a questo: ampi locali destinati a quanto appena descritto che nel progetto dovevano avere il loro peso.
Non certo meno peso dovevano avere i servizi igienici i quali, al di là della loro funzione nel quotidiano, sono chiamati ad assolvere un compito più rilevante in occasione delle giornate di grande partecipazione da parte della comunità laica. In tutto questo, sia nell’uso della sala che nell’accesso ad altri spazi aperti al pubblico andava considerato l’abbattimento delle barriere architettoniche dando un accesso agevole a tutti. Anche la questione energetica rimaneva in primo piano. L’opportunità di sfruttare quanto più possibile energia rinnovabile e mirare ad una coibentazione dei nuovi ambienti era una priorità in termini di tutela ambientale. Ultimo ma tutt’altro che trascurabile era l’aspetto di sicurezza legato al rischio sismico che viene segnalato nelle mappature ufficiali della zona.
C’era poi un altro aspetto che chiedeva di essere messo a fuoco: l’effettiva destinazione di terreni e fabbricati all’interno del confine di Santacittarama. Il terreno del monastero era registrato ufficialmente come terreno agricolo e gli edifici, residenza dei monaci e foresterie per donne e uomini, erano registrati come casa di abitazione, cantina, stalla. Man mano che la proprietà del Santacittarama rafforzava la sua identità di Monastero Buddhista della tradizione Theravada, e in concomitanza del riconoscimento con decreto della Presidenza della Repubblica di personalità giuridica all’Associazione religiosa, si decise di cambiare la destinazione d’uso delle costruzioni.
Quello in cui i monaci hanno ancora oggi le loro stanze, dove è stata ricavata la sala destinata alla Puja, è l’edificio più antico delll’area, insieme al rudere tra gli alberi, in basso, verso il fosso Riana. In queste case hanno vissuto e lavorato in passato famiglie di contadini per generazioni. Lasciare ancora, dopo l’insediamento dei monaci, la stessa destinazione era, in sostanza, una contraddizione. Le case di abitazione dovevano diventare residenza di monaci appartenenti alla più antica tradizione Buddhista e quindi dovevano diventare a tutti gli effetti luoghi dedicati al culto. Fu chiesto quindi al Comune di Poggio Nativo e al Catasto il cambio di destinazione d’uso, fu inoltre chiesto di riconoscere almeno una parte del terreno agricolo come Zona F che prevedesse i Servizi Religiosi. Questi ulteriori passi contribuivano al riconoscimento pubblico del Sangha, tanto laico quanto, soprattutto, monastico. Santacittarama continuava così a crescere come realtà cultuale, coi suoi articolati spazi destinati alle varie funzioni. Parte del terreno otteneva lo stesso rriconoscimento.
Il progetto del nuovo corpo era in lavorazione. Le indicazioni dei monaci erano concordi su alcuni punti fermi: una sala quadrata di 15 metri di lato, possibilmente libera da sostegni centrali con un ampio tetto in legno, un accesso diretto e piano dall’esterno, uno spazio per la lettura e i servizi ad un piano sottostante. Una protezione dal clima freddo invernale, una sala protetta nelle assolate e lunghe giornate estive. Uno spazio ampio per la pratica della meditazione, per la Puja del mattino e della sera, per i canti e per le cerimonie partecipate dai numerosi italiani e asiatici durante le ricorrenze e le feste nell’arco dell’anno.
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Inoltre, nello spirito dei Monaci della Foresta, un punto centrale nella impostazione del progetto, come già si è accennato, doveva insistere sugli aspetti energetici. Il rigore della regola monastica finisce per ridurre al minimo l’impatto di ogni singolo monaco con l’ambiente circostante. La formazione dei monaci, nel sud est dell’Asia, avviene in una profonda immersione nella natura, che vuol dire, vivere l’ambiente con poche mediazioni, così com’è, in un clima caldo e con basse oscillazioni di temperatura. Nei paesi del Theravada la residenza tipo, singola o comune, è spesso una struttura su pali isolata da terra, all’ombra, e al riparo dalla stagionale pioggia monsonica. Diverse sono invece le condizioni climatiche, in una zona come la Sabina, dove neve e basse temperature durante l’inverno si alternano a stagioni estive anche molto calde e prolungate. Tutto questo doveva condizionare chiaramente il progetto del futuro corpo di fabbrica.