di Giuliano Giustarini
Questa collezione di canti, recitata in molti monasteri buddhisti di tradizione Theravāda, può per molti versi rappresentare un vero e proprio strumento di pratica di purificazione della mente. Infatti, da un lato costituisce un esercizio di alcuni fattori chiave del sentiero buddhista, e dall’altro offre un richiamo esplicito e prezioso ad altri fattori che il praticante può poi coltivare per mezzo di istruzioni specifiche.
Nella letteratura buddhista il termine pali saddhā (in sanscrito śraddhā) indica la fede, fattore imprescindibile del sentiero, e si alterna a pasāda (in sanscrito prasāda), che significa fiducia ma anche serenità, calma, un vero e proprio adagiarsi con un senso di contentezza su ciò che è assolutamente affidabile. Nell’Aggappasādasutta dell’Aṅguttara Nikāya, il Buddha descrive la fiducia (pasāda) nel Buddha, nel Dhamma e nel Saṅgha (i Tre Gioielli, o Rifugi) come una fiducia in ciò che è supremo e che, in quanto tale, conduce al frutto supremo. L’intera recitazione dei canti è un invito ad abbandonare le contaminazioni, causa di sofferenza (dukkha), e a camminare in direzione della fine della sofferenza, il nibbāna. A questo fine tende anche l’esposizione degli aggregati (khandha), che possono essere preda dell’attaccamento (upadāna) e quindi della sofferenza, o invece purificati (visuddha).
Fondamentale, come si è accennato, è la fede nei Tre Gioielli, il Buddha, il Dhamma e il Saṅgha. Recitando la lode al Buddha si richiamano alla mente le qualità perfettamente realizzate del Buddha e si è ispirati a procedere in quella direzione. Il Buddha rappresenta il risveglio verso cui il sentiero procede, l’esempio perfetto del compimento della pratica.
La devozione al Dhamma può essere vista come una bussola talmente preziosa da accompagnare tutti i Buddha passati, presenti e futuri. Nel Gāravasutta del Saṃyutta Nikāya, il Buddha sottolinea l’importanza della devozione, autentica fonte di felicità, e dichiara la propria devozione al Dhamma.
Il Saṅgha è una manifestazione visibile del sentiero e rappresenta la tradizione che in oltre 2500 anni ha incarnato gli insegnamenti del Buddha coltivando le qualità in essi esposte.
La devozione e la fede verso i Tre Gioielli sono espresse attraverso le anussati, richiami mnemonici consapevoli che costituiscono una specifica pratica meditativa. Suggello dell’intera recitazione sono i momenti di inchino che intervallano i canti, un modo di esprimere fisicamente la fede e la devozione, ma anche un effettivo esercizio di umiltà. Esiste un termine in pali e in sanscrito, nivāta, che significa sia “riparato dal vento”, sia, metaforicamente, “umiltà, dolcezza, mitezza”. L’inchino ai Tre Gioielli mette il cuore al riparo dai venti delle contaminazioni e lo affida al sentiero indicato dal Buddha.