Storia buddhista, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 122, € 12 (ISBN 9788857514932).
La storia di Vessantara è narrata nell’ultimo dei 547 jātaka (vite del Buddha) contenuti nel Canone in pāli, nel Khuddaka-nikāya del Sutta-piṭaka. Il nucleo originario del testo è costituito dalle strofe, mentre la parte in prosa è forse più recente. In ogni caso, nel suo insieme la narrazione è antica, ed evidentemente era molto nota già alcuni secoli prima dell’èra cristiana, perché si trova raffigurata sui bassorilievi degli stūpa di Bhārhut e di Sāñchī (II-I sec. a.C.). Vessantara, precedente incarnazione del Buddha Gotama, è un principe della stirpe che regna sul popolo dei Sivi. Nella sua persona si realizza la perfezione della generosità, ossia il dāna. Vessantara si chiama così perché sua madre, la regina Phusatī, lo partorisce in mezzo (antara) al quartiere dei mercanti e degli artigiani (vessa, sanscrito vaiśya). Non appena viene alla luce, tende la manina verso la madre e le chiede qualcosa da donare. Phusatī gli porge una borsa con mille monete d’oro. Nel seguito del racconto, il principe Vessantara continua a esercitarsi nella perfezione della generosità; ormai sposo e padre, dona ai brahmani del Kāliṅga un prezioso elefante bianco, che assicurava la prosperità del regno. I Sivi si ribellano e il padre allora lo esilia in una foresta con la moglie e i due figli, ma Vessantara non pone limiti alla pratica del dāna e dona anche quelli a un avido brahmano e al dio Sakka. Sarà quest’ultimo, ammirato per la incrollabile generosità del principe, a rendergli la moglie e a concedergli di soddisfare otto desideri. Vessantara potrà così recuperare il suo ruolo a corte, i figli e l’elefante bianco. Il jātaka inserisce la vicenda di Vessantara in una cornice poetica resa con delicatezza dall’eccellente traduzione di Paola M. Rossi: in particolare la foresta è descritta come un luogo incantato, dove le belve rispettano gli asceti e innumerevoli animali e piante vivono in armonia. Il bodhisatta Vessantara è un diretto antecedente del bodhisattva mahāyānico; quanto alla generosità, cenni alle singole perfezioni (generosità, moralità, rinuncia, saggezza, energia, pazienza, verità, impegno, gentilezza amorevole, equanimità) si trovano sparsi un po’ in tutto il Canone in pāli (si veda fra l’altro Ajahn Sucitto, Pāramī. Ways to Cross Life’s Floods, Amaravati Publications, Amaravati 2012, scaricabile gratuitamente in vari formati; Thanissaro Bhikkhu, The Ten Perfections: A Study Guide, copyr. 2010-2013, scaricabile gratuitamente in formato PDF, mentre la parola pāramī nei quattro Nikāya indica l’arahatta (condizione di liberato) e solo nei testi più tardi come il Buddhavaṃsa assumerà il senso di virtù perfetta che il bodhisatta deve realizzare per raggiungere la buddhità (l’elenco delle pāramī coincide solo in parte con le pāramitā del Mahāyāna; cfr. The Middle Lenght Discourses of the Buddha. A New Translation of the Majjhima Nikāya, by Bhikkhu Ṇāṇamoli and Bhikkhu Bodhi, Wisdom, Boston 1995, p. 1281, nota 763).