Uno sguardo al buddhismo
L’illusione di un’anima o un sé duraturi
Il Buddha ha insegnato che in un essere vivente non c’è un centro essenziale o permanente, che possa essere considerato il proprio vero sé o anima. Ciò che appare come un individuo è in realtà un processo mutevole di qualità mentali e fisiche che si combinano temporaneamente in un determinato modo. A causa dell’attaccamento possessivo, la mente si identifica con una parte o con un insieme di questo processo; ciò fa sorgere il senso del sé, “Io” e “mio”. In realtà l’apparire di tutti i fenomeni sia animati che inanimati dipende da cause e condizioni. Tutte le cose sono in uno stato di continuo fluire, sono prive di un’esistenza intrinseca indipendente, e l’intera realtà non è che un continuo susseguirsi di eventi interconnessi, condizionati da una causa. Eventi che sorgono e svaniscono in questo preciso istante.
La rinascita avviene anch’essa senza un’anima. Considerate la similitudine con una candela che appena appena brucia, perché sta per finire. Da questa si può accendere una nuova candela e anche se la vecchia si esaurisce, la nuova brucierà chiaramente. Che cosa è passato dalla vecchia alla nuova candela? C’era una legame causale, ma nessuna ‘cosa’ è passata da una all’altra. Allo stesso modo, tra la vita passata e quella presente vi è un legame causale, ma tra le due non vi è il passaggio di un’anima.
Il Buddha ha insegnato che proprio questo profondo malinteso, l’illusione di un sé, è alla radice di ogni sofferenza umana. L’illusione del sé si manifesta come ‘ego’, con una naturale e inarrestabile funzione di controllare. Un grande ego vuole controllare il mondo, un ego medio cerca di controllare il proprio ambiente, in famiglia e sul posto di lavoro, mentre tutti gli ego cercano sempre il modo di controllare ciò che considerano il proprio corpo e la propria mente. Questo tentativo porta all’attrazione e all’avversione, che poi spingono a possedere, a manipolare gli altri, a sfruttare l’ambiente che ci circonda.
Sebbene il senso di sé cerchi la propria felicità, la sua insaziabile avidità produce continuamente insoddisfazione e fino a quando si identifica con qualcosa che assume come proprio sé, ne risulterà inevitabilmente una mancanza di armonia esterna o di appagamento interno. Solo un’acuta intuizione basata su una profonda meditazione può far vedere chiaramente questo miraggio per quello che realmente è. Solo allora si può conoscere la perfetta felicità.
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