(handa mayaṃ buddhānussatinayaṃ
karomase)
(Ora pratichiamo la reminiscenza del Buddha)
handa è un nipāta (indeclinabile) che indica un’esortazione, un invito, un po’ come “orsù!”, “forza!” o in senso di invito e non meramente temporale.
mayaṃ – è la prima vibhatti (nominativo) plurale del pronome personale ahaṃ (io).
buddhānussatinayaṃ è un composto: buddha-anussati-nayaṃ. Il termine nayaṃ è una seconda vibhatti singolare (accusativo retto dal verbo karoma) e significa “metodo”, “via”, “modo”, “pratica”. Il termine anussati (anu-sati) significa “ricordo”, “reminiscenza” intesa come pratica di recitazione (e coltivazione) di fattori salutari e qualità positive (come il termine naya sottolinea). Alcuni testi, come il Saṅgītisutta, il Dasuttarasutta o l’Anussatiṭṭhānasutta, elencano sei tipi di anussati: buddhānussati, dhammānussati, saṅghānussati, sīlānussati, cāgānussati, devatānussati, rispettivamente riferite al Buddha, al Dhamma, al Saṅgha, alla disciplina morale (sīla), alla generosità/rinuncia (cāga) e agli esseri delle dimensioni celesti (deva o devatā).
karomase è l’imperativo (nella terza persona plurale, corrispondente alla prima in italiano) del verbo karoti (fare, compiere) stessa radice di kamma (sanscrito karman).
[taṃ kho] pana bhagavantaṃ evaṃ kalyāṇo kittisaddo abbhuggato
L’ottima reputazione del Beato si è così diffusa:
taṃ è un aggettivo/pronome dimostrativo, seconda vibhatti singolare, che concorda con bhagavantaṃ.
kho è un nipāta o avyaya, ovvero un indeclinabile, spesso con valenza enfatica e che può essere lasciato non tradotto.
pana è un altro nipāta che può avere un senso avversativo o enfatico; qui si tratta di quest’ultimo e può essere lasciato non tradotto.
bhagavantaṃ è la seconda vibhatti singolare di bhagavant. Questa formula tipica della buddhānussati può presentare la seconda vibhatti o la sesta vibhatti (come sembrerebbe più prevedibile grammaticalmente); va letta comunque come se fosse una sesta (genitivo – complemento di specificazione riferito a kittisaddo).
Il termine bhagavant è spiegato nei commentari come “colui che possiede fortuna o ricchezze” o “colui che ha distrutto [le contaminazioni]” o “colui che si è liberato dal divenire [nel saṃsāra]”. È usato come alta forma di rispetto.
evaṃ è un nipāta o avyaya, ovvero un indeclinabile, che si traduce come “così” o “in questo modo” o semplicemente “questo”.
kalyāṇo è una prima vibhatti singolare (nominativo); significa “bello, buono, eccellente, prezioso, virtuoso, ottimo, fine”.
kittisaddo è una prima vibhatti singolare (nominativo). Il termine, traducibile con “reputazione”, “voce” (nel senso di voce che circola) è composto da kitti, che già da solo significa “reputazione”, “fama”, e sadda, che significa “suono”, “rumore”, “voce”. Parafrasando, la strofa afferma: “Circolano questi bei discorsi sulla reputazione del Bhagavant”.
abbhuggato è una prima vibhatti singolare (nominativo) del participio passato di abbhuggacchati (abhi-ud-gacchati) che significa “andare avanti” o “andare fuori”, “sorgere”, in quasto caso “diffondersi”. I commentari specificano che l’ottima reputazione del Buddha si è diffusa in questo mondo abitato da deva.
itipi so bhagavā arahaṃ sammasambuddho
“Egli, il Bhagavant, il l’Arahant, il Perfettamente Risvegliato,
itipi va letto come iti-api, due nipāta che si potrebbero tradurre con “e così” o lasciare non tradotti.
so è un aggettivo/pronome dimostrativo/personale, prima vibhatti (nominativo) singolare, traducibile con “egli” o “questo” (riferito a bhagavā).
bhagavā prima vibhatti (nominativo) singolare di bhagavant – “colui che possiede fortuna o ricchezze” o “colui che ha distrutto [le contaminazioni]” o “colui che si è liberato dal divenire [nel saṃsāra]”.
arahaṃ è la prima vibhatti (nominativo) singolare di arahant o arhat. Deriva dal verbo arahati e letteralmente significa “degno”.
Non solo i commentari, ma già il Buddha nei Sutta lo spiega in riferimento a una parola apparentemente simile, ārāka (lontano, alla larga da, distante): un arahant è un praticante per cui i dhamma nocivi (akusala), cause di sofferenza (dukkha), sono ormai lontani. È un termine usato per chiunque abbia raggiuto la liberazione ultima, incluso il Buddha.
sammāsambuddho è la prima vibhatti singolare (nominativo) di sammāsambuddha, un composto basato sul participio passato buddha (del verbo bujjhati: “svegliarsi” ma anche “capire, comprendere, sapere”). Significa “perfettamente/bene/appropriatamente/nel modo giusto (sammā) completamente (saṃ) risvegliato (buddha)”. Per “risvegliato” si intende risvegliato alla realtà così com’è, che conosce, comprende la realtà così com’è. Un sammāsambuddha non è solo un arahant, un liberato, ma è un tathāgata, ovvero un buddha che mette in moto la ruota del Dhamma. Il Buddha Siddhattha Gotama è il sammāsambuddha o tathāgata di questa era.
vijjācaraṇasampanno sugato lokavidū
È perfetto in conoscenza e condotta, felice, conoscitore dei mondi,
vijjācaraṇasampanno è un composto che si può dividere in vijjā-caraṇa-sampanno. Il termine sampanno è una prima vibhatti singolare maschile del participio passato di sampajjati (“giungere a”, “avere successo in”, “prosperare”) e significa “perfetto”, “completo” oppure “dotato di”, “che possiede”, “che abbonda di”. Il termine vijjā (sanscrito vidyā) significa “conoscenza”, “saggezza”; caraṇa (dal verbo carati, “muoversi”, “camminare”, “agire”, “comportarsi”) indica in questo caso l’impeccabile condotta di cui il Buddha è dotato, rispetto alla quale è perfetto.
sugato è la prima vibhatti (nominativo) singolare del participio passato di gacchati (andare) preceduto dall’upasagga (prefisso) su (bene, buono), a indicare che il Buddha è giunto alla felicità ultima, il nibbāna.
lokavidū è un composto tappurisa che si può spezzare in loka-vidū, “conoscitore dei mondi o del mondo”. Una delle spiegazioni che si trova nei commentari fa riferimento ai tre mondi (ti-loka) non nella loro classificazione comune (sensi, forma e senza forma) ma nella seguente: il mondo delle costruzioni o coefficienti (saṅkhāra-loka), il mondo degli esseri (satta-loka) e il mondo dello spazio (okāsa-loko). Cf. Buddhavaṃsa Aṭṭhakathā PTS 93 e Dīgha Nikāya Atthakathā CST4 I.190. Si dice inoltre che la conoscenza è completa, sotto ogni possibile aspetto e secondo la natura propria (sabhāva) di ciascun mondo, che è connotata da dukkha (Vinayapiṭaka, Sāratthadīpanī-ṭīkā, ed. birmana I.238). Il Lokapañhasutta del Saḷāyatanasaṃyutta fa derivare loka dal verbo lujjati, che significa “rompersi”, “crollare”, “essere distrutto” e indica la natura impermanente di qualsiasi mondo e quindi del saṃsāra (S CST4 IV.82, PTS IV.52). L’aggettivo vidū significa “conoscitore”, “saggio” e ha la stessa radice di vijjā (conoscenza, sapienza) e della sua forma negativa avijjā (ignoranza).
anuttaro purisadamma-sārathi satthā devamanussānam
Insuperabile guida dei praticanti, maestro di esseri umani e divini;
anuttaro è la prima vibhatti singolare maschile dell’aggettivo anuttara, composto dal prefisso negativo an– (na) e dall’aggettivo comparativo uttara (“superiore”) da ud-, una particella che significa “su”, “verso l’alto”. L’aggettivo anuttara quindi significa “senza superiore”, “insuperabile”.
purisadamma-sārathi è un composto di cui sārathi è una prima vibhatti (nominativo) singolare e significa “guida” nel senso letterale o anche “cocchiere”, ammaestratore. Il termine damma è il participio futuro passivo (o gerundivo) di dammati che vuol dire “addestrare, ammaestrare, addomesticare, domare, ammansire”; è declinabile come un aggettivo ma qui non è declinato perché si trova in un composto; purisa è un nome e significa “uomo”, “persona”. Il significato intero sarebbe “guida delle persone addestrabili (o da addestrare)”. Si evoca un’immagine ricorrente nei Sutta per indicare il Buddha, quella dell’ammaestratore di cavalli o di elefanti.
satthā è la prima vibhatti singolare maschile di satthar (maestro, insegnante).
devamanussānam è un composto dvanda (deva-manussānaṃ) in cui manussānaṃ è la sesta vibhatti (genitivo) (o anche quarta: “per”) plurale di manussa (essere umano). Essendo un dvanda (coppia), i due termini hanno una pari relazione e il composto si può esplicare con la stessa vibhatti e la congiunzione ca (“e”): devānañca manussānañca (= devanāṃ-ca manussānaṃ-ca). Si traduce con “dei deva e degli esseri umani” (o “per i deva e per gli esseri umani”).
buddho bhagavā ’ti
È il Risvegliato, il Bhagavant”.
buddho è la prima vibhatti singolare (nominativo) di buddha (risvegliato). Per “risvegliato” si intende risvegliato alla realtà così com’è, che conosce, comprende la realtà così com’è.
bhagavā prima vibhatti (nominativo) singolare di bhagavant – “colui che possiede fortuna o ricchezze” o “colui che ha distrutto [le contaminazioni]” o “colui che si è liberato dal divenire [nel saṃsāra]”.
iti (’ti) è un nipāta (indeclinabile) che qui conclude il discorso diretto della recitazione, come le virgolette di chiusura.
(handa mayaṃ buddhābhigītiṃ karomase)
(Ora intoniamo il canto solenne per il Buddha)
handa è un nipāta (indeclinabile) che indica un’esortazione, un invito, un po’ come “orsù!”, “forza!” o in senso di invito e non meramente temporale.
mayaṃ – è la prima vibhatti (nominativo) plurale del pronome personale ahaṃ (io).
buddhābhigītiṃ è un composto (buddha-abhigītiṃ) in cui abhigītiṃ è a sua volta composto dall’upasagga (prefisso) abhi e gītiṃ, una seconda vibhatti singolare (accusativo). Il termine gīti significa “canto” ed è una forma alternativa di gīta, mentre abhi è un upasagga (prefisso) che aggiunge un valore di superiorità o perfezione. È possibile che abhigītiṃ sia una corruzione del testo e che in origine ci fosse abhigītaṃ, composto che invece ricorre più volte nella letteratura pāli.
karomase è l’imperativo (nella terza persona plurale, corrispondente alla prima in italiano) del verbo karoti (fare, compiere) stessa radice di kamma (sanscrito karman).
[buddhavārahanta] varatādiguṇābhiyutto
Colui che è altamente munito di qualità come l’eccellenza come Buddha e Arahant
[buddhavārahanta]varatādiguṇābhiyutto è un samāsa (composto) di cui la parte declinata, abhiyutto, è una prima vibhatti (nominativo) maschile singolare del participio passato di abhiyuñjati. Si può tradurre come “strettamente connesso”, “molto abile”, “esperto” o appunto “altamente munito”. Il termine contiene anche un riferimento al fatto che il Buddha ha portato a compimento la somma pratica (abhi-yoga) o che è eccelso (abhi– è un upasagga che indica superiorità) nella pratica (yoga).
guṇa significa qualità.
adi significa “a cominciare da”, “come”, “etcetera”, a indicare che la parola da cui è preceduto è la prima di un elenco.
varatā è la forma astratta-sostantivata dell’aggettivo vara (eccellente) e significa eccellenza. Quest’eccellenza è riferita all’essere un buddha e un arahant (buddhavā-arahanta). Prendo buddhavā come intero, da buddhavant (ricorre come alternativa a buddha ed è esplicemente indicato dai commentari come tale) e non come buddha + vā (prendendo quest’ultimo come un nipāta = “o, oppure”, che qui non avrebbe molto senso).
suddhābhiñāṇakaruṇāhi samāgatatto
Dotato di pura gnosi e pura compassione
samāgatatto è una prima vibhatti (nominativo) maschile singolare, che regge la terza vibhatti (karuṇāhi). Non è da escludere che il testo qui sia corrotto e che il termine debba invece leggersi samāgato. Se fosse samāgatatto, si tratterebbe probabilmente di un composto bahubbīhi (samāgata-atto, quest’ultimo da atta): “il cui sé è dotato”. Si tratterebbe comunque di una forma inconsueta.
suddhābhiñāṇakaruṇāhi è un composto: suddha-abhiñāṇa-karuṇāhi.
karuṇāhi è una terza vibhatti plurale, femminile. Il termine karuṇā significa compassione, intesa come intenzione di rimuovere la sofferenza di tutti gli esseri.
abhiñāṇa significa conoscenza superiore, gnosi, alta conoscenza intuitiva.
suddha è il participio passato o aggettivo dal verbo sujjhati (purificarsi, pulirsi) e significa puro, purificato.
bodhesi yo sujanataṃ kamalaṃ va sūro
Colui che ha risvegliato i buoni come il sole [risveglia] il loto
bodhesi è l’aoristo di bodheti (risvegliare), che a sua volta è il causativo di bujjhati (risvegliarsi, comprendere).
yo è un aggettivo/pronome relativo/dimostrativo, prima vibhatti singolare.
sujanataṃ è una seconda vibhatti (accusativo, complemento oggetto retto da bodhesi); la parola è composta da su (buono) + janatā (umanità, gente), a designare quindi buona gente, buone persone, quelli che sono buoni.
kamalaṃ è una seconda vibhatti (accusativo, complemento oggetto retto da bodhesi, che si intende come ripetuto in due frasi); kamala è uno dei termini pāli (e sanscriti) che indicano specifici tipi di loti, come uppala, paduma e puṇḍarika.
va (= eva) è un nipāta che significa “come”.
sūro è una prima vibhatti maschile singolare; il termine sūra, come il più comune suriya o adicca, indica il sole.
vandāhaṃ tam araṇaṃ sirasā jinendaṃ
Che io onori, chinando il capo, quel pacifico re dei vincitori.
vande è l’imperativo, uttama purisa (prima persona in italiano) del verbo vandati, che significa onorare.
ahaṃ è un pronome personale, prima vibhatti (nominativo): io.
tam è un aggettivo/pronome relativo/dimostrativo, seconda vibhatti singolare. Sta con araṇaṃ.
araṇaṃ è una seconda vibhatti singolare (accusativo): a + raṇa, “senza conflitto”, ovvero mite, pacifico.
sirasā è la terza vibhatti singolare di sira (testa). Letteralmente significa “con la testa”, come complemento di mezzo, cioè inchinando il capo in segno di rispetto.
jinendaṃ è un composto tappurisa che va letto come jinānaṃ indaṃ; indaṃ è una seconda vibhatti singolare (accusativo), complemento oggetto di vande e significa capo o re, mentre jinānaṃ è la sesta vibhatti plurale di jina (vincitore, conquistatore).
buddho yo sabbapāṇīnaṃ
saraṇaṃ khemam uttamaṃ
paṭhamānussatiṭṭhānaṃ vandāmi taṃ sirenāhaṃ
Il Buddha: io onoro chinando il capo questo primo oggetto di reminiscenza, supremo, sicuro rifugio per tutti gli esseri viventi.
buddho è la prima vibhatti singolare (nominativo) di buddha (risvegliato). Per “risvegliato” si intende risvegliato alla realtà così com’è, che conosce, comprende la realtà così com’è.
yo è un aggettivo/pronome relativo/dimostrativo, prima vibhatti singolare. Sta con buddho.
sabbapāṇīnaṃ è un composto kammadhāraya (sabba-pāṇīnaṃ); pāṇīnaṃ è la sesta vibhatti plurale di pāṇin, che indica ‘uno che respira, che vive’, ovvero un essere vivente (da pāṇa, in sanscrito prāṇa = respiro, vita, e anche essere vivente).
saraṇaṃ è una seconda vibhatti singolare (accusativo) – rifugio.
khemam è un aggettivo seconda vibhatti singolare (accusativo) che significa “sicuro, libero dai pericoli”; quando è un sostantivo significa anche “pace”.
uttamaṃ è un aggettivo superlativo (seconda vibhatti, sta con tutti gli altri accusativi, in particolare con ṭhānaṃ) dalla radice ud (= sopra): “supremo” (talvolta, come in uttama-purisa, può significare “l’altro”.
paṭhamānussatiṭṭhānaṃ è un composto: pathama-anussati-ṭhānaṃ. ṭhānaṃ è una seconda vibhatti singolare (accusativo) e significa luogo, base, regione, stato (ne condivide l’etimo, da tiṭṭhati, “stare”, come anche in Hindu-stan, per esempio). Il termine anussati consiste in sati, con il suo significato di memoria ma non escluso quello di consapevolezza, preceduta dall’upasagga anu-, che indicare una successione. Nell’insieme designa l’attività di recitare per tenere a mente e nel cuore elementi primari della pratica. L’aggettivo numerale ordinale paṭhama significa “primo”.
vandāmi è il presente indicativo, uttama-purisa ekavacana (prima persona singolare) del verbo vandati (onorare).
taṃ è pronome/aggettivo dimostrativo/relativo/personale, seconda vibhatti (accusativo).
sirenāhaṃ = sirena – ahaṃ.
sirena è la terza vibhatti singolare (alternativa a sirasā) di sira (testa). Letteralmente significa “con la testa”, come complemento di mezzo, cioè inchinando il capo in segno di rispetto.
ahaṃ è un pronome personale, prima vibhatti (nominativo): io.
buddhassāhasmi dāso [dasī] va buddho me sāmikissaro.
Io sono un servo/serva del Buddha, il Buddha è il mio sovrano e signore.
buddhassāhasmi = buddhassa ahaṃ asmi
buddhassa è la sesta vibhatti singolare (genitivo) di buddha (risvegliato, che ha compreso).
ahaṃ è un pronome personale, prima vibhatti (nominativo): “io”.
asmi = verbo essere, uttama-purisa ekavacana (in italiano prima persona singolare) del verbo atthi (essere).
dāso è una prima vibhatti (nominativo) ekavacana (singolare) pulliṅga (maschile): schiavo, servo. Ovviamente qui appare in accezione positiva, tratteggiando una devozione spontanea al Buddha e una dedizione completa al sentiero illustrato dal Buddha stesso.
dasī è una prima vibhatti (nominativo) ekavacana (singolare) itthiliṅga (femminile): “schiava, serva”.
va è un nipāta (particella indeclinabile), qui a funzione enfatica.
buddho è la prima vibhatti singolare (nominativo) di buddha (risvegliato). Per “risvegliato” si intende risvegliato alla realtà così com’è, che conosce, comprende la realtà così com’è.
me è un pronome personale, sesta vibhatti singolare (genitivo, alternativa a mahyaṃ e mama): “di me”, quindi “mio”.
sāmikissaro è un composto dvanda: sāmika-issaro.
sāmika deriva da sāmin (sanscrito svāmin, nell’uso moderno swami) e significa, signore, padrone, sovrano, governatore.
issaro è la prima vibhatti singolare maschile di issara (sanscrito īśvara, dalla radice īś, “avere potere”). Significa “signore”, “padrone”, “ capo”, ed è usato anche per esprime l’idea (rigettata nel buddhismo) di un dio creatore eterno, signore.
buddho dukkhassa ghātā ca vidhātā ca hitassa me
Il Buddha è per me distruttore della sofferenza e benefattore.
buddho è la prima vibhatti singolare (nominativo) di buddha (risvegliato). Per “risvegliato” si intende risvegliato alla realtà così com’è, vale a dire, che conosce, comprende la realtà così com’è.
dukkhassa è la sesta vibhatti singolare (genitivo) di dukkha (sofferenza, dolore, insoddisfazione).
ghātā è la prima vibhatti singolare di ghātar (“distruttore”, dal verbo ghāteti).
ca è un nipāta (indeclinabile) che corrisponde alla congiunzione “e”, spesso ripetuta con ciascuno degli elementi congiunti.
vidhātā è la prima vibhatti singolare di vidhātar (“provvido”, dal verbo vidahati: provvedere, sistemare, disporre).
ca è un nipāta (indeclinabile) che corrisponde alla congiunzione “e”, spesso ripetuta con ciascuno degli elementi congiunti.
hitassa èla sesta vibhatti singolare di hita (bene, benessere). Quindi, ca vidhātā ca hitassa me si può tradurre come “e colui che per me provvede al bene” (o “e che provvede al mio bene”), “il mio benefattore”.
me è la quarta vibhatti singolare (equivalente di mayhaṃ – mama) del pronome personale ahaṃ (io).
buddhassāhaṃ niyyādemi sarīranjīvitancidaṃ
Dedico questa vita e questo corpo al Buddha,
buddhassāhaṃ= buddhassa ahaṃ
buddhassa è la sesta vibhatti singolare (genitivo) di buddha (risvegliato, che ha compreso).
ahaṃ è un pronome personale, prima vibhatti (nominativo): io.
niyyādemi è il presente indicativo, uttama-purisa ekavacana (terza persona in pāli; in italiano, prima persona singolare) del verbo niyyādeti (dare, presentare, dedicare).
sarīranjīvitancidaṃ = sarīraṃ jīvitaṃ ca idaṃ
sarīraṃ è una seconda vibhatti singolare (accusativo) – “corpo”.
jīvitaṃ è una seconda vibhatti singolare (accusativo) – “vita”.
ca è un nipāta (indeclinabile) che corrisponde alla congiunzione “e”.
idaṃ è un aggettivo/pronome dimostrativo riferito sia a sarīraṃ che a jīvitaṃ.
vandantohaṃ carissāmi buddhasseva subodhitaṃ
Vivrò onorando il buon risveglio del Buddha
vandantohaṃ = vandanto ahaṃ
vandati è il kitanta (aggettivo verbale – participio presente) di vandati (onorare, salutare, rendere omaggio, rispettare)
ahaṃ è un pronome personale, prima vibhatti (nominativo): io.
carissāmi è il futuro (bhavissanti) di carati (vivere, condurre, comportarsi, agire, procedere), uttamapurisa ekavacana (corrispondente alla prima persona singolare)
buddhasseva = buddhassa eva
buddhassa è la sesta vibhatti singolare (genitivo) di buddha (risvegliato, che ha compreso).
eva è una particella indeclinabile (nipāta), qui con valore enfatico
subodhitaṃ = su bodhitaṃ
su è un upasagga (prefisso), che significa “buono, grandioso, grande” oppure, prima di un aggettivo, “bene”, “molto”.
bodhitaṃ è la seconda vibhatti singolare di bodhitā, una poco frequente forma alternativa di bodhi (risveglio) – subodhitā insieme è glossato con sundarā bodhi, “il bel risveglio”.
natthi me saraṇaṃ aññaṃ buddho me saraṇaṃ varaṃ
Per me non vi è altro rifugio, il Buddha è il mio eccellente rifugio.
natthi = na atthi
na è un nipāta (indeclinabile), non.
atthi è il vattamāna (presente indicativo) del verbo essere, paṭhamapurisa (corrispondente alla terza persona singolare in italiano)
me è qui la forma alternativa di mayhaṃ o mama, quarta vibhatti del pronome ahaṃ (io): “per me”.
saraṇaṃ è un sostantivo, prima vibhatti (nominativo) singolare, neutro e significa “rifugio”.
aññaṃ è un aggettivo che concorda con saraṇaṃ e significa “altro”.
buddho è la prima vibhatti singolare (nominativo) di buddha (risvegliato). Per “risvegliato” si intende risvegliato alla realtà così com’è, vale a dire, che conosce, comprende la realtà così com’è.
me è qui la forma alternativa di mayhaṃ o mama, che in questo caso può essere sia quarta o la sesta vibhatti del pronome ahaṃ (io): “per me” (quarta vibhatti), “di me = mio” (sesta).
saraṇaṃ è un sostantivo, prima vibhatti (nominativo) singolare, neutro e significa “rifugio”.
varaṃ è un aggettivo che concorda con saraṇaṃ e significa “eccellente”.
etena saccavajjena vaḍḍheyaṃ satthu sāsane
Che io possa, in virtù di questa affermazione veritiera, progredire secondo gli insegnamenti del Maestro.
etena è la terza vibhatti singolare (qui caso strumentale – complemento di mezzo) del pronome/aggettivo dimostrativo eso/esā/etaṃ, che significa “questo/a/o” e concorda con vajjena.
saccavajjena è un composto kammadhāraya, da leggere come saccena vajjena (ovvero considerando sacca come aggettivo che qualifica vajja)
sacca– significa vero, autentico, veritiero, reale.
vajjena è la terza vibhatti singolare di vajja (dal verbo vadati, “dire, parlare”) e significa “ciò che si dice”, “discorso”, “affermazione”.
vaḍḍheyyaṃ è l’uttamapurisa (equivalente alla prima persona in italiano) ekavacana (singolare) dell’ottativo del verbo vaḍḍhati, che significa “aumentare, crescere, prosperare, progredire”.
satthu è la sesta vibhatti (genitivo) singolare del sostantivo satthar, che significa “insegnante”, “maestro”.
sāsane è la settima vibhatti singolare di sāsana, che si può tradurre con “insegnamento”, “dottrina” (nella lingua thai moderna è usato per “religione”). La settima vibhatti rappresenta un locativo anche in senso lato, ovvero per definire un riferimento, un argomento (come il de latino). Qui si può tradurre “nell’insegnamento” o appunto “secondo l’insegnamento”, “in linea con l’insegnamento”.
buddhaṃ me vandamānena yaṃ puññaṃ pasutaṃ idha
sabbe pi antarāyā me māhesuṃ tassa tejasā
Grazie al potere di quella virtù da me prodotta onorando il Buddha,
possa non esserci nessun pericolo per me.
buddhaṃ è una seconda vibhatti (accusativo), con funzione (kāraka) di complemento oggetto (kamma) del verbo vandamānena.
me è in questo caso forma alternativa di mayā, terza vibhatti di ahaṃ (io) e concorda con vandamānena. È l’agente (kattar) del participio passato passivo pasutaṃ.
vandamānena è un participio presente, terza vibhatti singolare, del verbo vandati (onorare).
yaṃ è un aggettivo dimostrativo, prima vibhatti singolare, neutro (concorda con puññaṃ ed è collegato a tassa in una proposizione relativa).
puññaṃ è un sostantivo, nominativo neutro, traducibile con “merito”, bontà”, virtù”.
pasutaṃ è il participio passato del verbo pasavati, concorda con puññaṃ.
idha è un nipāta (indeclinabile).
sabbe è un aggettivo, prima vibhatti plurale maschile (letteralmente “tutti”, ma essendo in una frase negativa significa nessuno); concorda con antarāyā.
pi è un nipāta (indeclinabile, = api), generalmente significa “anche”, ma qui ha un senso enfatico.
antarāyā è un sostantivo, prima vibhatti plurale maschile. Deriva da antara (in mezzo, tra), con etimo simile all’italiano “interno”, e significa “ostacolo” o “pericolo”. Nella lingua thai moderna significa “pericolo”, “pericoloso”.
me è qui alternativa di mama/mahyaṃ, quarta vibhatti singolare di ahaṃ (io).
mā è un nipāta (indeclinabile) traducibile con “non”, usato nelle frasi imperative.
ahesuṃ è un ajjatani (aoristo), paṭhamapurisa bahuvacana ( = terza persona plurale) del verbo hoti (essere, divenire). In questo caso l’aoristo funziona da imperativo.
tassa è aggettivo relativo, sesta vibhatti singolare.
tejasā è la terza vibhatti singolare (qui karaṇa, strumentale) di tejo, che significa fuoco, calore, ma anche forza, potere.
kāyena vācāya va cetasā vā
buddhe kukammaṃ pakataṃ mayā yaṃ
buddho paṭigganhātu accayantaṃ
kālantare saṃvarituṃ va buddhe
Qualsiasi azione cattiva da me commessa nei riguardi del Buddha, Con il corpo, la parola o la mente,
Che il Buddha perdoni questa trasgressione,
E che nel frattempo [io mi possa] controllare nei riguardi del Buddha.
kāyena è una terza vibhatti (karaṇa, strumentale) di kāya (corpo).
vācāya è una terza vibhatti (karaṇa, strumentale) di vācā (parola).
va sta per vā, un indeclinabile che significa “o, oppure”.
cetasā è una terza vibhatti (karaṇa, strumentale) di ceto (mente).
vā è un nipāta (indeclinabile) che significa “o, oppure”.
buddhe è una settima vibhatti, che di solito esprime un complemento di luogo ma anche un locativo in senso lato, ovvero “nei confronti di”, “rispetto a”, etc.
kukammaṃ è un composto kammadhāraya (ku–kammaṃ), neutro.
ku è un prefisso che significa “cattivo”, “negativo”, “sbagliato”.
kammaṃ è una prima vibhatti ekavacana napuṃsakaliṅga (nominativo singolare neutro).
pakataṃ è il participio passato di pakaroti, prima vibhatti ekavacana napuṃsakaliṅga (nominativo singolare neutro), concorda con kukammaṃ.
mayā è la terza vibhatti di ahaṃ (io) e qui è l’agente di pakataṃ.
yaṃ è la prima vibhatti napuṃsakaliṅga (nominativo neutro) del pronome dimostrativo yo-yā-yaṃ (questo, quello, colui che), concorda con kukammaṃ.
buddho è una prima vibhatti singolare maschile.
paṭigganhātu è un imperativo (che, come in italiano, esprime anche un auspicio o una richiesta, una supplica).
accayantaṃ da acceti (ati = oltre + eti = andare; letteralmente: “trasgredire”).
kālantare è composto da kāla (tempo) e antare (in mezzo, tra; declinato nella settima vibhatti sing., un locativo nel senso lato), quindi letteralmente “nel frattempo”.
saṃvarituṃ è l’infinito di saṃvarati (controllare, tenere a bada). Nei testi si trova frequentemente il composto indriya-saṃvara a indicare il controllo delle facoltà sensoriali, preparazione cruciale per la pratica di consapevolezza.
va qui ha un valore enfatico, rafforzativo.
buddhe è la settima vibhatti singolare di buddha, qui intesa come complemento di argomento e non locativo in senso stretto, quindi traducibile con “riguardo a”, “nei confronti di”.