(handamayaṃ dhammānussatinayaṃ
karomase)
[svākkhāto] bhagavatā dhammo
sandiṭṭhiko akāliko ehipassiko
opanayiko paccattaṃ veditabbo vinnūhī ti
(Ora cantiamo la reminiscenza del Dhamma)
Il Dhamma, bene esposto dal Beato,
è palese, senza tempo, direttamente
sperimentabile,
Avvicina alla meta, i saggi lo comprendono da sé.
handa è un nipāta (indeclinabile) che indica un’esortazione, un invito, un po’ come “orsù!”, “forza!” o in senso di invito e non meramente temporale.
mayaṃ – è la prima vibhatti (nominativo) plurale del pronome personale ahaṃ (io).
dhammānussatinayaṃ = dhamma-anussati-nayaṃ
nayaṃ è la seconda vibhatti singolare del termine naya, che significa metodo, modo, via, etc. Deriva dal verbo neti, che significa “condurre”. Letteralmente, il composto significherebbe “la conduzione della recitazione del Dhamma”.
anussati è formato dal prefisso (upasagga) anu (di seguito, a seguire, appresso, dietro, dopo) + il sostantivo (nāma) sati, nella sua accezione di “memoria” o “tenere a mente” (dal verbo sarati). Si intende qui la recitazione a scopo mnemonico e di esercizio performativo dell’attenzione, ovvero dell’attenzione come fattore salutare in sé e in riferimento specifico ai temi recitati, ovvero le qualità del Buddha, del Dhamma e del Saṅgha).
karomase è l’imperativo (nella terza persona plurale, corrispondente alla prima in italiano) del verbo karoti (fare, compiere) stessa radice di kamma (sanscrito karman).
Il termine svākkhāto (su-akkhāto) è il participio passato passivo di akkhāti (“annunciare, proclamare, esporre”); è declinato in prima vibhatti e concorda con dhammo.
Il termine bhagavatāè una terza vibhatti singolare con funzione (kāraka) di agente/soggetto (kattar) della frase.
Il termine dhammo è una prima vibhatti singolare, che nelle frasi al passivo, come in questo caso, indica il complemento oggetto (kamma).
sandiṭṭhiko è un composto con l’upasagga saṃ (bene, appropriatamente) e diṭṭhiko, aggettivo (prima vibhatti singolare, nominativo) connesso ai sostantivi diṭṭhi (visione, punto di vista) e dassanā (visione), dalla radice sanscrita drś (vedere).
akāliko aggettivo che presenta l’upasagga negativo/privativo a– (= na) e kāliko (prima vibhatti singolare, nominativo), dal sostantivo kāla (tempo).
ehipassiko è un composto che contiene ehi (imperativo dal verbo eti, “venire”) e l’aggettivo passiko (prima vibhatti singolare, nominativo), a sua volta composto dall’imperativo passa (verbo passati, “vedere”) e il suffisso aggettivale –iko (simile a -ico in italiano, e.g. “magico”, “idilliaco” etc.).
opanayiko è un aggettivo derivante dal sostantivo upanaya (“portare vicino”: upa-neti).
paccattaṃ è un avverbio che viene da pati + attā (sé).
veditabbo è il participio futuro passivo, prima vibhatti singolare, nominativo, del verbo vedeti (conoscere, sentire, provare → vedanā).
vinnūhī ti → viññūhi-iti
viññūhi è la terza vibhatti plurale (soggetto nelle frasi passive) di viññū (saggio).
iti è un nipāta (indeclinabile) che qui indica il discorso diretto, come le virgolette.
(handa mayaṃ dhammābhigītiṃ
karomase)
[svākkhātatā]diguṇayogavasena seyyo
yo maggapākapariyattivimokkhabhedo
(Ora intoniamo il supremo canto per il Dhamma)
È eccellente perché associato alle qualità della buona esposizione etc.
Si divide in sentiero e risultato, pratica e liberazione
handa è un nipāta (indeclinabile) che indica un’esortazione, un invito, un po’ come “orsù!”, “forza!” o in senso di invito e non meramente temporale.
mayaṃ – è la prima vibhatti (nominativo) plurale del pronome personale ahaṃ (io).
dhammābhigītiṃ = dhamma-abhigītiṃ
abhigītiṃ è una seconda vibhatti singolare, accusativo.
karomase è l’imperativo (nella terza persona plurale, corrispondente alla prima in italiano) del verbo karoti (fare, compiere) stessa radice di kamma (sanscrito karman).
[svākkhātatā]diguṇayogavasena
svākkhātatā-adi-guṇa-yoga-vasena
Il termine svākkhātatā (su-akkhātatā) è una forma nominale dal participio passato passivo di akkhāti (annunciare, proclamare, esporre).
ādi significa “inizio”, “eccetera” o “a cominciare da” (riferito alla parola che lo precede).
guṇa significa “qualità”.
yoga è un sostantivo (dal verbo yuñjati, “unire”, connesso al latino jungo, italiano congiungo, inglese junction etc.) e significa “unione”, “associazione”, “relazione”.
vasena è lo strumentale singolare del sostantivo vasa (potere, autorità, influenza) con funzione avverbiale: può significare “sotto l’influenza di”, “per il potere di”, “per il motivo”, “per il fatto che”, “per mezzo di”, “perché”.
seyyo è la prima vibhatti (nominativo) ekavacana (singolare) del comparativo dell’aggettivo sant (buono) e significa “migliore”.
yo è la prima vibhatti pulliṅga ekavacana (nominativo maschile singolare) del pronome dimostrativo yo-yā-yaṃ (questo, quello, colui che).
magga-pāka-pariyatti-vimokkha-bhedo
bahubbīhi samāsa (compost)
magga è il sentiero
pāka è il frutto, il risultato della maturazione attraverso la pratica
pariyatti è lo studio degli insegnamenti, ma qui indica più genericamente tutte e tre le tradizionali forme della pratica, ovvero pariyatti, paṭipatti (la pratica in senso stretto) e paṭivedha (penetrazione, comprensione profonda).
vimokkha è la liberazione.
bhedo (dal verbo bhindati, “separare”, “spezzare”, prima vibhatti ekavacana, concorda con yo e dhammo). È la divisione, classificazione; a volte indica anche una rottura come nello scisma della comunità (saṅgha-bheda).
dhammo kulokapatanā tadadhāridhārī
vandamahaṃ tamaharaṃ
varadhammametaṃ
Sostiene dal precipitare in mondi infausti chi lo sostiene,
Io onoro l’eccellente Dhamma che dissipa l’oscurità.
Il termine dhammo è una prima vibhatti singolare
ku-loka-patanā è un samāsa (composto).
ku è una particella indeclinabile che qualifica il nome che precede come doloroso, infelice, negativo.
loka è un sostantivo che significa mondo, universo, dimensione.
patanā è una quinta vibhatti ekavacana (ablativo singolare) del sostantivo patana (rovina, disgrazia, caduta), a sua volta dal verbo patati (cadere). Il riferimento potrebbe essere sia al precipitare in uno stato mentale negativo, sofferente, immediato, sia incorrere in una brutta rinascita dopo la morte.
tad-a-dhāri-dhārī
tad sta per taṃ, seconda vibhatti singolare (accusativo) di so (questo), che concorda in genere (maschile) con dhamma. Sia la finale in –d che la vocale a sono eufoniche.
dhārī è la prima vibhatti singolare di dhārin, aggettivo da dhāreti (sostenere), causativo di dharati. Concorda con dhammo, con cui condivide la stessa radice. Il composto significa quindi “che sostiene chi lo sostiene”.
vandam ahaṃ
vandam participio presente, prima vibhatti singolare, di vandati (onorare, rendere omaggio).
ahaṃ è il pronome personale che significa “io”, in prima vibhatti (nominativo) singolare.
tama-haraṃ
tama (o tamo) è un nome neutro che significa “oscurità”.
haraṃ è il participio presente di harati (“portare”, ma anche “portare via” e quindi “togliere”, “dissipare”).
vara-dhammam-etaṃ
vara è un aggettivo che significa “eccellente”.
dhammam è una seconda vibhatti (accusativo) singolare.
etaṃ pronome/aggettivo dimostrativo, seconda vibhatti singolare, maschile (concorda con dhammam).
dhammo yo sabbapāṇīnaṃ saraṇaṃ
khemam uttamaṃ
dutiyānussatiṭṭhanaṃ vandāmi taṃ
sirenahaṃ
Come seconda fase di reminiscenza, onoro,
chinando il capo, il Dhamma, quel rifugio di tutti gli esseri, suprema protezione.
Il termine dhammo è una prima vibhatti (nominativo) singolare.
yo è un aggettivo/pronome relativo/dimostrativo, prima vibhatti singolare. Concorda con dhammo ed è connesso con taṃ, il pronome all’accusativo in questa proposizione relativa.
sabbapāṇīnaṃ è un composto kammadhāraya (sabba-pāṇīnaṃ); pāṇīnaṃ è la sesta vibhatti plurale di pāṇin, che indica ‘uno che respira, che vive’, ovvero un essere vivente (da pāṇa, in sanscrito prāṇa = respiro, vita, e anche essere vivente).
saraṇaṃ è una seconda vibhatti singolare (accusativo) – rifugio.
khemam è un aggettivo seconda vibhatti singolare (accusativo) che significa “sicuro, libero dai pericoli”; quando è un sostantivo significa anche “pace”.
uttamaṃ è un aggettivo superlativo (seconda vibhatti, sta con tutti gli altri accusativi, in particolare con ṭhānaṃ) dalla radice ud (= sopra): “supremo” (talvolta, come in uttama-purisa, pu significare “l’altro”.
dutiyānussatiṭṭhānaṃ è un composto: dutiya-anussati-ṭhānaṃ. ṭhānaṃ è una seconda vibhatti singolare (accusativo) e significa luogo, base, regione, stato (ne condivide l’etimo, da tiṭṭhati, “stare”, come anche in Hindu-stan, per esempio). Il termine anussati è un femminile (separatamente, avremmo dutiyā anussati, e se declinati avremmo dutiyāya anussatiyā, perché in questo composto è un genitivo); anussati ha come sostantivo sati, con il suo significato di memoria ma non escluso quello di consapevolezza, preceduto dall’upasagga anu-, che indicare una successione. Nell’insieme designa l’attività di recitare per tenere a mente e nel cuore elementi primari della pratica. L’aggettivo numerale ordinale dutiya significa “secondo”; il suo corrispondente cardinale è dvi (due).
vandāmi è il presente indicativo, uttama-purisa ekavacana (prima persona singolare) del verbo vandati (onorare). Assume sia il semplice portare rispetto sia la colorazione religiosa con cui è associato alla pūjā.
taṃ è pronome/aggettivo dimostrativo/relativo/personale, seconda vibhatti (accusativo), collegato con yo.
sirenāhaṃ = sirena – ahaṃ.
sirena è la terza vibhatti singolare (alternativa a sirasā) di sira (testa). Letteralmente significa “con la testa”, come complemento di mezzo, cioè inchinando il capo in segno di rispetto.
ahaṃ è un pronome personale, prima vibhatti (nominativo): io.
dhammassāhasmi dāso [dāsī] va dhammo
me sāmikissaro
Io sono invero uno schiavo/a del Dhamma, il
Dhamma è il mio padrone e signore
dhammassāhasmi = dhammassa ahaṃ asmi
Il termine dhammassa è una sesta vibhatti (nominativo) singolare, qui un sāmin (genitivo possessivo).
ahaṃ è un pronome personale (io), prima vibhatti singolare (nominativo).
asmi è la terza persona singolare, che in italiano corrisponde alla prima, del verbo atthi (essere).
dāso (maschile) e dāsi (femminile) sono prime vibhatti singolari (nominativo) che concordano con ahaṃ.
va è in nipāta (indeclinabile) che significa, solo, proprio, davvero, invero, di certo.
Il termine dhammo è una prima vibhatti (nominativo) singolare, soggetto della seconda frase.
me è una forma alternativa di mama, sesta vibhatti singolare (sāmin, genitivo di possesso) del pronome personale ahaṃ (“di me”, quindi “mio”).
sāmikissaro = sāmika-issaro
Questo è un samāsa (composto) dvanda (copulativo) dove i termini hanno lo stesso caso e relazione di pari grado.
sāmika viene da sāmin, signore, padrone, possessore.
issaro è un nominativo singolare (signore).
dhammo dukkhassa ghātā ca vidhātā ca hitassa me
Il Dhamma è per me distruttore di sofferenza,
dispensatore di bene,
dhammo è una prima vibhatti (nominativo), ekavacana (singolare)
dukkhassa è la sesta vibhatti singolare (genitivo) di dukkha (sofferenza, dolore, insoddisfazione). Il Dukkhatāsutta del Maggasaṃyutta (la raccolta del Saṃyutta Nikāya sull’ottuplice sentiero) riporta una triplice classificazione di dukkha (sofferenza, insoddisfazione): dukkha-dukkhatā (la sofferenza fisica, contingente), saṅkhāra-dukkhatā (la sofferenza legata alle ‘costruzioni’) e vipariṇāma-dukkhatā (la sofferenza dovuta alla trasformazione).
ghātā è la prima vibhatti singolare di ghātar (“distruttore”, dal verbo ghāteti, uno dei causativi di hanati).
ca è un nipāta (indeclinabile) che corrisponde alla congiunzione “e”, spesso ripetuta con ciascuno degli elementi congiunti.
vidhātā è la prima vibhatti singolare di vidhātar (“provvido”, dal verbo vidahati [vi-dahati]: provvedere, sistemare, disporre).
ca è un nipāta (indeclinabile) che corrisponde alla congiunzione “e”, spesso ripetuta con ciascuno degli elementi congiunti.
hitassa è la sesta vibhatti singolare di hita (bene, benessere). Quindi, ca vidhātā ca hitassa me si può tradurre come “e colui che per me provvede al bene” (o “e che provvede al mio bene”), “il mio benefattore”. Come vidhātā, anche hita è collegato al verbo dahati, di cui è originariamente il participio passato.
me è la quarta vibhatti singolare (equivalente di mayhaṃ – mama) del pronome personale ahaṃ (io).
dhammassāhaṃ niyyādemi sarīranjīvitancidaṃ
Dedico questa vita e questo corpo al Dhamma,
dhammassāhaṃ = dhammassa ahaṃ
dhammassa è la sesta vibhatti singolare (genitivo) di dhamma.
ahaṃ è un pronome personale, prima vibhatti (nominativo): io.
niyyādemi è il presente indicativo, uttama-purisa ekavacana (terza persona in pāli; in italiano, prima persona singolare) del verbo niyyādeti (anche niyādeti o niyyāteti: dare, presentare, dedicare), causativo di ni-yatati.
sarīranjīvitancidaṃ = sarīraṃ jīvitaṃ ca idaṃ
sarīraṃ è una seconda vibhatti singolare (accusativo) – “corpo”. Altri termini per indicare il corpo sono kāya e kaḷebara (kalevara).
jīvitaṃ è una seconda vibhatti singolare (accusativo) – “vita”, sostantivo connesso al verbo jīvati (vivere) e all’aggettivo jīva (vivo).
ca è un nipāta (indeclinabile) che corrisponde alla congiunzione “e”. Di solito si trova ripetuto per ciascuno dei termini congiunti.
idaṃ è un aggettivo/pronome dimostrativo, napuṃsakaliṅga (neutro) riferito sia a sarīraṃ che a jīvitaṃ.
vandantohaṃ [vandantīhaṃ] carissāmi
dhammasseva sudhammataṃ
Onorerò la buona natura del Dhamma.
vandantohaṃ = vandanto ahaṃ
vandanto è il kitanta (aggettivo verbale – participio presente) di vandati (onorare, salutare, rendere omaggio, rispettare), prima vibhatti singolare (come vandaṃ).
ahaṃ è un pronome personale, prima vibhatti (nominativo) singolare: io.
carissāmi è il futuro (bhavissanti) di carati (vivere, condurre, comportarsi, agire, procedere), uttamapurisa ekavacana (corrispondente alla prima persona singolare), qui tradotto come unico verbo con vandanto. Letteralmente sarebbe più o meno “agirò onorando” oppure “vivrò onorando”.
dhammasseva = buddhassa eva
dhammassa è la sesta vibhatti singolare (genitivo) di dhamma.
eva è una particella indeclinabile (nipāta), qui con valore enfatico.
sudhammataṃ = su dhammataṃ
su è un upasagga (prefisso), che significa “buono, grandioso, grande” oppure, prima di un aggettivo, “bene”, “molto”.
dhammataṃ è la seconda vibhatti singolare di dhammatā, un astratto da dhamma, che ha tra i suoi significati quello di “natura, realtà”. Come prima bodhitā indicava la natura specifica del Buddha, qui dhammatā indica la natura specifica del Dhamma.
natthi me saraṇaṃ aññaṃ
dhammo me
saraṇaṃ varaṃ
Per me non vi è altro rifugio,
il Dhamma è il
mio eccellente rifugio.
natthi = na atthi
na è un nipāta (indeclinabile), non.
atthi è il vattamāna (presente indicativo) del verbo essere, paṭhamapurisa (corrispondente alla terza persona singolare in italiano)
me è qui la forma alternativa di mayhaṃ o mama, quarta vibhatti (dativo) singolare del pronome ahaṃ (io): “per me”.
saraṇaṃ è un sostantivo, prima vibhatti (nominativo) singolare, neutro e significa “rifugio”.
aññaṃ è un aggettivo che concorda con saraṇaṃ e significa “altro”.
dhammo è la prima vibhatti singolare (nominativo) di dhamma.
me è qui la forma alternativa di mayhaṃ o mama, che in questo caso può essere sia quarta o la sesta vibhatti del pronome ahaṃ (io): “per me” (quarta vibhatti), “di me = mio” (sesta).
saraṇaṃ è un sostantivo, prima vibhatti (nominativo) singolare, neutro e significa “rifugio”.
varaṃ è un aggettivo che concorda con saraṇaṃ e significa “eccellente”.
etena saccavajjena
vaḍḍheyaṃ satthu sāsane
Che io possa, in virtù di questa affermazione
veritiera, progredire secondo gli insegnamenti del Maestro.
etena è la terza vibhatti (qui caso strumentale – complemento di mezzo) ekavacana (singolare) napuṃsakaliṅga (neutro) del pronome/aggettivo dimostrativo eso –esā –etaṃ, che significa “questo/a/o” e concorda con vajjena.
saccavajjena è un composto kammadhāraya, da leggere come saccena vajjena (ovvero considerando sacca come aggettivo che qualifica vajja)
sacca– significa vero, autentico, veritiero, reale.
vajjena è la terza vibhatti singolare di vajja (nome neutro dal verbo vadati, “dire, parlare”) e significa “ciò che si dice”, “discorso”, “affermazione”.
vaḍḍheyyaṃ è l’uttamapurisa (equivalente alla prima persona in italiano) ekavacana (singolare) dell’ottativo del verbo vaḍḍhati, che significa “aumentare, crescere, prosperare, progredire”.
satthu è la sesta vibhatti (genitivo) singolare del sostantivo (nāma) maschile (pulliṅga) satthar, che significa “insegnante”, “maestro”.sāsane è la settima vibhatti singolare di sāsana, sostantivo neutro che si può tradurre con “insegnamento”, “dottrina” (nella lingua thai moderna è usato per “religione”). La settima vibhatti rappresenta un locativo anche in senso lato, ovvero per definire un riferimento, un argomento (come il de latino). Qui si può tradurre “nell’insegnamento” o appunto “secondo l’insegnamento”, “in linea con l’insegnamento”.
dhammaṃ me vandamānena yaṃ puññaṃ pasutaṃ idha
sabbe pi antarāyā
me māhesuṃ tassa tejasā
Grazie al potere di quella virtù da me prodotta onorando il Dhamma,
Possa non esserci nessun pericolo per me.
dhammaṃ è una seconda vibhatti (accusativo), con funzione (kāraka) di complemento oggetto (kamma) del verbo vandamānena. Dalla radice dhṛ del verbo dhāreti (tenere, sostenere), può avere vari significati. Qui si intende principalmente l’insegnamento del Buddha e la realtà ultima mostrata dal Buddha.
me è in questo caso forma alternativa di mayā, terza vibhatti di ahaṃ (io) e concorda con vandamānena. È l’agente (kattar) del participio passato passivo pasutaṃ.
vandamānena è un participio presente, terza vibhatti singolare, del verbo vandati (onorare). Si accompagna spesso a namati (o namassati), “inchinarsi, rendere omaggio”.
yaṃ è un aggettivo dimostrativo, prima vibhatti singolare, neutro (concorda con puññaṃ ed è collegato a tassa in una proposizione relativa).
puññaṃ è un sostantivo neutro, nominativo, traducibile con “merito”, bontà”, virtù”. L’accumulo di azioni intenzionali positive ha come effetto puñña, che si manifesta in rinascite in esistenze felici.
pasutaṃ è il participio passato del verbo pasavati (produrre, far nascere) concorda con puññaṃ.
idha è un nipāta (indeclinabile), un avverbio di luogo sia in senso letterale (“qui, in questo luogo”) che figurato (“in questo caso, a questo proposito”).
sabbe è un aggettivo, prima vibhatti plurale maschile (letteralmente “tutti”, ma essendo in una frase negativa significa nessuno); concorda con antarāyā.
pi è un nipāta (indeclinabile, = api), generalmente significa “anche”, ma qui ha un senso enfatico.
antarāyā è un sostantivo, prima vibhatti plurale maschile. Deriva da antara (in mezzo, tra), con etimo simile all’italiano “interno”, e significa “ostacolo” o “pericolo”. Nella lingua thai moderna significa “pericolo”, “pericoloso”.
me è qui alternativa di mama /mahyaṃ, quarta vibhatti singolare di ahaṃ (io), un dativo traducibile con “a me” o “per me”, in certi casi anche “in me”.
mā è un nipāta (indeclinabile) traducibile con “non”, usato nelle frasi imperative.
ahesuṃ è un ajjatanī (aoristo), paṭhamapurisa bahuvacana ( = terza persona plurale) del verbo hoti (essere, divenire). L’aoristo può anche assumere funzione da imperativo, come in questo caso.
tassa è aggettivo relativo, sesta vibhatti singolare.
tejasā è la terza vibhatti singolare (qui karaṇa, strumentale) di tejo, che significa fuoco, calore, ma anche forza, potere. È uno degli elementi (dhātu).
kāyena vācāya va cetasā vā
dhamme kukammaṃ pakataṃ mayā yaṃ
dhammo paṭigganhātu accayantaṃ
kālantare saṃvarituṃ va dhamme
Qualsiasi azione cattiva da me commessa nei
riguardi del Dhamma, con il corpo, la parola o la mente,
che il Dhamma perdoni questa trasgressione,
E che nel frattempo [io mi possa] controllare
nei riguardi del Dhamma.
kāyena è una terza vibhatti (karaṇa, strumentale) di kāya (corpo), un nome maschile in -a.
vācāya è una terza vibhatti (karaṇa, strumentale) di vācā (parola), femminile. È collegato, attraverso il latino vox, all’italiano “voce” e all’inglese “voice”.
va sta per vā, un indeclinabile che significa “o, oppure”.
cetasā è una terza vibhatti (karaṇa, strumentale) di ceto (mente), sostantivo neutro in -as ( sanscr. cetas).
vā è un nipāta (indeclinabile) che significa “o, oppure”.
dhamme è una settima vibhatti, che può esprimere un complemento di luogo oppure un locativo in senso lato, ovvero “nei confronti di”, “rispetto a”, etc. Il sostantivo dhamma, che può avere diversi significati, è collegato al verbo dharati (reggere, sostenere, tenere, anche ricordare, nel senso di tenere a mente).
kukammaṃ è un composto kammadhāraya (ku–kammaṃ), neutro.
ku è un prefisso che significa “cattivo”, “negativo”, “sbagliato”, in origine un avverbio interrogativo usato come esclamazione rispetto a qualcosa che non va, come l’italiano “Come?!” o “Cosa?!”. Un po’ come le espressioni romanesche “Ma de che!” o “Ma ‘ndove!”, che esprimono disaccordo, disapprovazione.
kammaṃ è una prima vibhatti ekavacana napuṃsakaliṅga (nominativo singolare neutro) del termine kamma (sanscrito karman), che significa azione o azione intenzionale, dal verbo karoti (fare).
pakataṃ è il participio passato di pakaroti, prima vibhatti ekavacana napuṃsakaliṅga (nominativo singolare neutro), concorda con kukammaṃ.
mayā è la terza vibhatti di ahaṃ (io) e qui è l’agente (kattar) di pakataṃ, ovvero il soggetto di una frase passiva traducibile con “da me” se si mantiene la forma passiva o con “io” se la si tramuta in attiva.
yaṃ è la prima vibhatti napuṃsakaliṅga (nominativo neutro) del pronome dimostrativo yo-yā-yaṃ (questo, quello, colui che), concorda con kukammaṃ.
dhammo è una prima vi-bhatti singolare maschile.
paṭigganhātu è un imperativo (che, come in italiano, esprime anche un auspicio o una richiesta, una supplica).
accayantaṃ da acceti (ati = oltre + eti = andare; letteralmente: “trasgredire”).
kālantare è composto da kāla (tempo) e antare (in mezzo, tra; declinato nella settima vibhatti sing., un locativo nel senso lato), quindi letteralmente “nel frattempo”.
saṃvarituṃ è l’infinito di saṃvarati (controllare, tenere a bada). Nei testi si trova frequentemente il composto indriya-saṃvara a indicare il controllo delle facoltà sensoriali, preparazione cruciale per la pratica di consapevolezza.
va qui ha un valore enfatico, rafforzativo.
dhamme è la settima vibhatti singolare di dhamma, qui intesa come complemento di argomento e non locativo in senso stretto, quindi traducibile con “riguardo a”, “nei confronti di”.